Il 21 maggio, nell’Aula
Avvocati del Palazzaccio,
presenti il Ministro
della Giustizia e il
Presidente del Tribunale
di Roma, organizzatore il
Consiglio dell’Ordine, si è
parlato delle nuove tariffe
forensi partorite, come si
sa, dieci anni dopo quelle
del 1994.
Il 21 maggio, nell’Aula
Avvocati del Palazzaccio,
presenti il Ministro
della Giustizia e il
Presidente del Tribunale
di Roma, organizzatore il
Consiglio dell’Ordine, si è
parlato delle nuove tariffe
forensi partorite, come si
sa, dieci anni dopo quelle
del 1994.
Una gestazione lunga e
faticosa che ha percorso
varie tappe: la sentenza 19
febbraio 2002 della Corte
di Giustizia delle Comunità
Europee che ha posto
fine al dibattito circa la
compatibilità del sistema
tariffario con l’articolo 81
del Trattato CE, la deliberazione
del Consiglio Nazionale
Forense 20 settembre
2002, un nutrito
confronto di opinioni, le
rilevazioni Istat sul tasso
di inflazione, due pareri
del Consiglio di Stato e,
finalmente, il decreto 8
aprile 2004 del Ministro
della Giustizia.
Le nuove tariffe, a differenza
che nel passato,
hanno visto la luce in un
contesto socio-economico
fortemente allarmato per
l’aumento dei costi dei
servizi, segnatamente di
quelli professionali. I
mezzi di comunicazione
hanno registrato largamente
l’allarme. Hanno
sottolineato diffusamente
l’incremento notevole,
ben superiore, si è detto,
in taluni casi, alle variazioni
dell’indice dei prezzi
al consumo per la collettività
nei periodi iniziale
e finale di riferimento.
Non però per le nuove tariffe
forensi che, come il
Consiglio di Stato ha opportunamente
evidenziato
nel suo parere, registrano
un incremento talvolta inferiore
al tasso di inflazione
del 25% per il decennio
1994 / 2003 indicato
dal Ministero e dal CNF.
La verità è che, a parte
l’aumento del costo della
vita, i costi delle professioni
e in particolare quelli
dell’avvocatura sono
aumentati in dieci anni in
misura esponenziale: il moltiplicarsi dei sussidi
tecnici che lungi dal consentire
economie di spesa
sono costosi e impongono
al professionista formazione,
manutenzione e
continuo aggiornamento,
il dilatarsi oltre misura
delle fonti che ha richiesto,
pur nei settori di nicchia,
la necessità della rivisitazione
di nuovi ordinamenti
nazionali e internazionali,
il moltiplicarsi
inarrestabile della concorrenza
che nasce dal numero
sterminato e incontrollabile di nuovi accessi alla
professione, la complessità
della nuova problematica
che deriva dall’istituzione
di micro-ordinamenti
sempre nuovi, la
tendenza vivace alla ricerca
di nuovi strumenti di
risoluzione delle controversie,
l’ormai nota ADR,
l’istituzione di nuove
Authorities che presiedono
alla regolamentazione
dei conflitti in settori sempre
nuovi della competizione
sociale, hanno imposto
e impongono agli
avvocati l’adozione di
strutture e capacità sempre
più raffinate che comportano
ovviamente costi
rilevanti.
Ne è sintomo perfino il
linguaggio giuridico, legato
in passato alla tradizione romanistica, che ormai
evolve, insieme agli istituti,
aprendosi a nuovi modi
e forme del dire laddove
ai brocardi forse consunti
del latinetto forense, si sostituiscono
espressioni e
forme di tradizione anglosassone
che si accompagnano
ad istituti nuovissimi
mutuati dalla common
law o dall’equity.
Rispetto a questa rivoluzione
della professione forense,
che non è improprio
definire epocale, il sistema
minuto e pedante delle tariffe appare perfino
anacronistico e di scarsa
utilità pratica.
Appropriato e intelligente
dunque il richiamo fatto
da alcuni dei relatori alla
fonte primaria dell’obbligazione
del cliente che è
l’accordo delle parti di cui
all’articolo 2233 del codice
civile.
Ho ricordato ai presenti
che in altri paesi, di cultura
forense diversa dal nostro,
all’atto dell’incarico
viene fatta sottoscrivere al
Cliente la engagement letter
alla quale si accompagna
la determinazione,
convenzionale, della tariffa
oraria, variabile a seconda
che la prestazione
sia svolta dal socio contitolare
dello studio, da professionista
di rango intermedio o dall’associate.
Al termine dell’incarico il
professionista presenta al
Cliente il time report che
contiene l’indicazione
analitica del tempo speso
per ciascuna prestazione.
Ho ricordato che il nostro
ordinamento professionale
non fa divieto di pattuire
un compenso commisurato
al tempo – lavoro, ma
anzi in materia stragiudiziale
ne indica l’importo
minimo.
Di Giorgio Della Valle
Avvocato del Foro di Roma