Mentre il giornale
era già in macchina
è scoppiata a
Roma la «bomba» degli arresti
di un magistrato e di
molti curatori di fallimento,
con denuncia a piede libero
di altri giudici e il sospetto
giornalistico che al provvedimento
del Tribunale di
Perugia, competente per i
reati nei quali sono accusati
giudici romani, seguirà un
ulteriore tintinnar di manette.
Mentre il giornale
era già in macchina
è scoppiata a
Roma la «bomba» degli arresti
di un magistrato e di
molti curatori di fallimento,
con denuncia a piede libero
di altri giudici e il sospetto
giornalistico che al provvedimento
del Tribunale di
Perugia, competente per i
reati nei quali sono accusati
giudici romani, seguirà un
ulteriore tintinnar di manette.
Il corpo centrale di questo
numero di InGIUSTIZIA la
PAROLA al POPOLO era
dedicato non a caso alle vicende
della sezione fallimentare,
con interventi di
un autorevole avvocato sottoposto
in precedenza ad
una campagna giornalistica
ed una intervista all’ex Presidente
Briasco, anch’egli
oggetto di feroci polemiche.
La Costituzione Italiana
prevede la presunzione di
innocenza ed il fatto che un
G.I.P. abbia ritenuto che ci
si trovi in presenza di indizi
tanto gravi da disporre la
misura della custodia in
carcere per un altro magistrato
non significa necessariamente
che quest’ultimo
sia colpevole e non sarà
certamente questa testata
che attribuirà a chicchessia
etichette di corrotto o cor-ruttore prima di leggere una
sentenza definitiva.
Certo è, però, che nulla si è
fatto per evitare che episodi
similari si verificassero né per
impedire che si creassero i
presupposti per la commissione
di reati.
E’ praticamente da quando
questo giornale ha deciso di
dedicarsi «a tempo pieno» al
tema della giustizia che periodicamente
trattiamo il tema
della mancata trasparenza
nella attribuzione degli incarichi
giudiziari, precisando che
quello delle curatele fallimentari
è una delle questioni più
rilevanti, ma non l’unica né,
molte volte, quella di maggior
rilievo economico.
Abbiamo affermato, e lo ripetiamo
ad alta voce nel momento
in cui una inchiesta è
in atto, che deve essere regolamentata
l’attribuzione delle
amministrazioni e custodie
giudiziarie, delle nomine degli
arbitri, delle perizie e consulenze
tecniche in quanto
non è possibile che, ad esempio,
vi siano dei periti tanto
gettonati quanto incapaci di
sostenere in sede di esame dei
difensori in contraddittorio le
tesi dalle quali sono scaturiti
decreti di citazione o ordinanze
di custodia cautelare.
Eppure si tratta di professionisti
i quali sembra che svolgano
prevalentemente l’attività
di consulenti giudiziari,
che quindi è tanto lucrosa da
permettere di rinunciare ad
altri clienti. Salvo il caso in
cui i clienti si rivolgano a determinati
studi proprio in dipendenza
di tale attività.
Nessuno sa quanto la fiducia
di un giudice o di un PM possa
annualmente incidere sul
fatturato di un professionista.
Sia chiaro, non vi è nulla né
di illegale né di scandaloso
che un magistrato si rivolga
per abitudine ad uno o piùconsulenti dei quali conosce
la capacità professionale, l’onestà
e la puntualità nell’espletamento
degli incarichi
affidati, in quanto è giusto
che egli scelga i propri ausiliari
tra le persone da lui ritenute
affidabili.
Il problema è che, trattandosi
di denaro pubblico e di incarichi
delicati, il tutto dovrebbe
avvenire nell’ambito di un
regolamento e in un sistema
eticamente rivolto alla trasparenza:
viceversa tutto ciò
manca e, anzi, chi pone sul
tappeto tale tema viene di fatto
posto all’indice da parte
dei vertici degli uffici i quali
sarebbero preposti a tale regolamentazione,
con un rifiuto
di dialogo per «lesa maestà
» tipico dei regimi dittatoriali.
Solo il fatto che la corruzione
trovi nei regimi dittatoriali un
terreno fertile dovrebbe indurre
chi mantiene similari
atteggiamenti a rivedere le
proprie posizioni di chiusura
al dialogo.
Chi scrive non può non domandarsi
se non poteva essere
evitata la indubbia lesione
del prestigio della Magistratura
derivata dai recenti arresti
e dalla notizia che un Magistrato
onesto sarebbe stato assassinato
sostanzialmente perché
appariva agli occhi di una
delle più feroci bande criminali
romane come una mosca
bianca all’interno di un sistema
nel quale la sparizione di
un giudice non ha provocato
alcuna plateale reazione.
Banda alla quale risultava legato
un altro personaggio noto
alle cronache giudiziarie in
cui beni sono stati acquisiti
all’erario dopo la condanna
definitiva, quel Nicoletti per i
rapporti con il quale un altro
alto magistrato del Tribunale
di Roma è stato oggetto di accuse,
così come lo è stato peril più mediaticamente noto caso
SME.
La sezione delle esecuzioni
immobiliari reagì al penultimo
scandalo (quello della
sparizione dei fascicoli), disponendo
la scannerizzazione
di tutti i documenti, con un atto
di organizzazione che ha
prodotto anche dei rilevanti
benefici in termini di operatività
quotidiana: infatti la giustizia
non si blocca ogni qualvolta
il supporto cartaceo sia
«fuori posto» per uno dei tanti
legittimi motivi per i quali tale
evento si verifica nella operatività
quotidiana.
Lo scandalo di questi giorni è
grave non tanto per il numero
dei magistrati coinvolti o per
la loro eventuale colpevolezza,
ma per il fatto che si è verificato
un evento da tempo di
fatto annunciato dalla stampa
e, quindi, tanto prevedibile
che nei corridoi si scommetteva
sulla data, se prima o dopo
l’insediamento della nuova
presidenza della sezione fallimentare.
Era quindi dovere dei vertici
del Tribunale non limitarsi a
presiedere ad interim la sezione,
ma eliminare alla radice la
possibilità del verificarsi di
eventi quali assegnazioni pilotate
o curatele ingiustificatamente
ricorrenti.
Gli arresti di Perugia riguardano
eventi passati: il problema
che deve essere risolto è
come impedire non solo che
gli stessi si ripetano, ma comeridare credibilità ad un’istituzione
che dovrebbe trovare
nel suo rigore morale la legittimazione
etica delle sentenze
di condanna.
In determinate situazioni è
necessario ricorrere a parole
forti, magari un po’ retoriche:
il Tribunale di Roma ha un
imperativo categorico, quello
di emanare un regolamento
relativo alle modalità di assegnazione
di tutti i processi e
di tutti i molteplici incarichi
giudiziari con previsione di
un sistema di controllo aperto
a tutti gli operatori del diritto
ed ai vertici giudiziari: non si
vede ad esempio perché, se i
rappresentanti del popolo devono
annualmente rendere
pubblica la loro dichiarazione
dei redditi, ciò non debba avvenire
per chi il popolo lo
giudica, lo condanna o interviene
in maniera pesante sui
suoi diritti più rilevanti, quali
la famiglia o l’azienda con la
quale si sostenta.
Né si dica che per subordinare
l’assunzione di incarichi fiduciari
a regole di trasparenza
occorrano delle leggi: gli enti
pubblici (e tale è un Tribunale)
nell’espletamento della
propria attività amministrativa
ben possono darsi dei regolamenti,
i quali, peraltro,
sono sottoposti ex lege al
controllo di legittimità.
Per farlo, quindi, basta la volontà
politica.
di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma