Tra poche settimane
avranno luogo le
elezioni del consiglio
dell’Ordine degli Avvocati
di Roma. Il risultato
del voto sarà decisivo
anche per gli equilibri dell’avvocatura
nazionale, in
quanto l’ordine romano è
il più grande d’Italia ed è
anche uno dei più influenti,
e non solo per l’evidente
specificità ambientale
dovuta all’operatività nella
Capitale.
Tra poche settimane
avranno luogo le
elezioni del consiglio
dell’Ordine degli Avvocati
di Roma. Il risultato
del voto sarà decisivo
anche per gli equilibri dell’avvocatura
nazionale, in
quanto l’ordine romano è
il più grande d’Italia ed è
anche uno dei più influenti,
e non solo per l’evidente
specificità ambientale
dovuta all’operatività nella
Capitale.
Negli ultimi anni sono stati
frequenti le prese di posizione
se non i contrasti
aperti con altri organismi
dell’avvocatura, che hanno
alterato o modificato i
rapporti (anche di forza)
esistenti nella categoria o
creato nuove relazioni.
Dunque le elezioni sono
locali, ma hanno una rilevanza
nazionale, ed è proprio
per la loro importanza
che è utile sapere come
i candidati abbiano organizzato
la loro campagna e quali aspettative ripongano
nell’esercizio delle
eventuali, future, funzioni
di componenti del Consiglio.
InGiustizia ha realizzato
un’inchiesta per approfondire
tali aspetti, ma proprio
sul riscontro offerto
dai candidati sono stati
evidenziati gli aspetti più della
campagna elettorale: infatti,
su 45 candidati, solo
7 hanno risposto al questionario.
Naturalmente, visto il tenore
delle domande, era
più che ovvio aspettarsi
circospezione, diffidenza,
richieste di garanzie particolari
sulla riservatezza
delle informazioni, oppure
l’invio di dati anonimi. In
effetti non esiste un diritto
di un giornale ad avere
informazioni specifiche
sull’organizzazione delle
campagne elettorali di singoli
candidati, né un obbligo
giuridico a loro carico a fornire certi tipi di
informazioni come un preventivo
di bilancio. Più
esattamente, si può dire
che non esiste un obbligo
giuridico nei confronti
della stampa, ma un dovere
morale (fatte salve le
opportune garanzie) nei
confronti dell’elettorato sì,
visto che in casi come
questi esso dovrebbe godere
della massima trasparenza
per analizzare attentamente
e con cognizione
i candidati e poter scegliere
il migliore.
Pochi hanno avuto il coraggio
di «giocare a carte
scoperte», conducendo una battaglia in maniera
corretta soprattutto verso
le persone cui chiedono il
voto, prima ancora che
verso gli avversari.
Onore dunque ai sette
candidati-avvocati che
hanno fornito informazioni
sulla loro candidatura e
che meritano una citazione
(in rigoroso e imparziale
ordine alfabetico e senza
menzione della lista di
appartenenza): Giovanni
Cipollone, Antonio Conte,
Daniele Costi, Mauro Monaco,
Paolo Nesta, Gabriele
Scotto, Federico Tedeschini.
E se a questa lista
trasversale, che potremmo scherzosamente
chiamare I sette cavalieri
della trasparenza, merita
certamente un premio da
parte degli elettori, ciò
non vuol dire che per gli
altri il giudizio debba essere
necessariamente negativo.
Ben conosce, infatti, questa
redazione gli impegni
pressanti degli avvocati e
dei singoli consiglieri
uscenti, dimostrati anche
dagli altri risultati raggiunti
dall’Ordine Romano
nell’ultimo biennio.
Nonostante la bassissima
percentuale di risposte,
che danneggia la rappresentatività dei dati che ne
sono stati tratti, è opportuno
comunque mettere in
luce i risultati, che hanno
evidenziato come la campagna
elettorale sia basata
su pochi elementi comuni
a tutti i competitori e che
esistono poche categorie
di candidati che condividono
modalità di organizzazione
e obiettivi simili.
Innanzi tutto, il dato iniziale
è che solo il 50% dei
competitori ha approvato
una previsione di bilancio
per la propria campagna,
prevedendo una spesa media
di circa 2000 euro, ma
pensando che arriverà comunque a spendere fino a
2500 euro. Un candidato
su sei non ha programmato
un tale bilancio e pensa
di spendere il «necessario
».
Sul fronte dell’impegno richiesto
per la campagna,
le ore già sottratte più
quelle si pensa di sottrarre
ancora alla vita familiare e
professionale oscillano tra
valori di 60 e 450 ore, anche
se la maggior parte
delle persone dichiara un
impegno stimato di 150-
180 ore. Una volta entrati
in Consiglio, le ore che si
prevede di dedicare all’attività
variano da 6 a 70
settimana. Per fronteggiare
gli impegni professionali e
familiari in dipendenza
delle ore che dovrà dedicare
al Consiglio dell’Ordine,
più della metà dei
candidati ha dichiarato che
assumerà nuovi collaboratori,
mentre la restante
parte pensa, in maniera ripartita
equamente, di avere
già abbastanza tempo libero
o di provvedere alla situazione
in altro modo diverso
dalle neoassunzioni.
Più o meno tutti i candidati
sono concordi nel ritenere
che non trarranno benefici
economici, diretti o indiretti,
dall’assunzione di
cariche istituzionali nel
Consiglio dell’Ordine.
Stessa ampia maggioranza
è risultata tra gli intervistati
nel dichiarare i motivi
della candidatura: «per
spirito di servizio» è stata
la risposta aperta più data.
Ulteriore elemento comune
ai candidati è la convinzione
di non ricevere
giovamenti rispetto alla
sua posizione professionale
per effetto dell’eventuale
elezione al Consiglio.
Infine, a parte poche persone
che hanno dato risposte
non previste nel modulo
d’inchiesta, più di tre
quarti degli intervistati ha dichiarato che gli elettori
dovrebbero considerarlo
«un professionista che coniuga
interessi propri e
della categoria».