Nulla nell’avvocatura
è semplice come
può sembrare, nemmeno
una normalissima richiesta
di pagamento rivolta
dal CNF agli avvocati.
Nulla nell’avvocatura
è semplice come
può sembrare, nemmeno
una normalissima richiesta
di pagamento rivolta
dal CNF agli avvocati.
Nei giorni passati è infatti
arrivata loro una lettera in
cui si annuncia al destinatario
di turno che «non risulta
al Consiglio Nazionale Forense
il pagamento della
quota di cui all’articolo 14
del DDL 23.11.44 n. 382
che determina la misura del
contributo che ogni iscritto
agli Albi Professionali deve
corrispondere per il funzionamento
del CNF per il
2002, pari ad euro 25,83».
In più si chiede, ovviamente,
il pagamento della medesima
quota per il 2003.
Ora, leggendo una lettera
così al massimo si può pensare
che il contributo è già
stato pagato oppure che si
ignora la ragione del pagamento,
e quindi c’è un errore.
Al massimo, si può infilare
la lettera tra le numerose
altre che ognuno riceve
quotidianamente e pagare
senza batter ciglio.
In realtà, dietro la lettera si
nasconde una battaglia tacita,
ma non troppo, tra il
CNF e l’Ordine capitolino,
causato in parte ed in apparenza
dalle inadempienze
supposte di alcuni Ordini
minori.
In pratica il CNF, che dovrebbe
svolgere pochissime
funzioni, alcune delle quali
dalla dubbia costituzionalità
o corrispondenza con il diritto
primario comunitario,
dovrebbe finanziarsi in buona
percentuale attraverso i
contributi degli avvocati
cassazionisti e non cassazionisti
italiani riscossi per
mezzo degli Ordini locali.
Molti Ordini minori non pagano,
ed in sostanza il CNF
ha pensato bene di provvedere
autonomamente all’incasso
contattando direttamente
gli avvocati.
In realtà, a parte il comportamento
degli Ordini minori
(ma numerosi), si è arrivati
ad uno scontro aperto con
l’Ordine di Roma, presieduto
dal combattivo Federico
Bucci, che si è concretizzato
anche in alcune pubblicazioni,
come il suo editoriale
sul numero 3-4 di Foro Romano,
notiziario del Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati
di Roma, o l’articolo
«Mysterium Iniquitatis» sul
medesimo numero di Foro
Romano.
In sostanza, l’Ordine di Roma
si è rifiutato di pagare la
sua parte non ritenendosi
obbligata a farlo.
Molte le ragioni di questa
dura presa di posizione, le
principali delle quali sono
riassumibili in cinque punti.
Innanzi tutto il CNF fa cose
che nessuno gli ha chiesto
di fare, spendendo denaro,
ed ha anche spese di gestione
relativamente basse: tanto
per far un esempio, il
CNF è ospitato dal Ministero
di Giustizia. Poi il bilancio,
in cui bisognerebbe indicare
le quote contributive
individuali, non viene approvato
né da chi dovrebbe
versare tali quote e tanto
meno dagli Ordini.
Si contesta inoltre il fondamento
giuridico della richiesta
di contributi, ed
inoltre si ritiene che al massimo,
a pagare qualcosa
(ma in altre condizioni) dovrebbero
essere solo gli avvocati
cassazionisti, tenendo
il CNF l’albo di tali professionisti.
Infine, si contesta la regolarità
delle attività che gli Ordini
dovrebbero attuare e
che potrebbero essere riassunte
(si passi l’espressione
non proprio corretta) «di riscossione
conto terzi».
Per queste ed altre ragioni
l’Ordine romano ha smesso
di effettuare la riscossione
ed il pagamento dei contributi.
La sua iniziativa non è
casuale: essendo il più grande
d’Italia è quello da cui
proverrebbero la maggior
parte dei contributi.
A Roma si ritiene anche che
il CNF non vada ad esigere
dagli Ordini inadempienti
quanto preteso per evitare di
arrivare ad un contenzioso
in cui non potrebbe dimostrare
la regolarità della sua
posizione.
Nel frattempo, un dubbio
coglie gli avvocati: affrontare
a muso duro la situazione
o pagare anche quest’anno
il fastidioso balzello?