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Etica: Testamento biologico, sì condizionato
Posted by Pigliucci on Tuesday, February 08 @ 17:37:33 CET
2003 Download periodico

Fino a che limite il paziente è informato, quanto e come vuole essere informato e fino a che punto può decidere tra diritto alla vita o diritto alla morte?



In relazione alla proposte di legge Pisapia e Ripamonti-Del Pennino, sento il dovere, quale docente di chirurgia nonché responsabile di un servizio universitario di oncologia avanzata e moderna, di proporre alcune considerazioni che possono far riflettere gli studenti, i medici, gli avvocati, i magistrati e la gente comune.
Sappiano che quotidianamente ci troviamo di fronte a pazienti che, a causa dei mass media, di internet, di rapide comunicazioni televisive, di messaggi o di cultura medica «popolare», sono spesso disorientati su atteggiamenti clinici o scelte farmacologiche da proporre a se stessi o ai propri cari anche a causa di coincidenza di prescrizioni di medici diversi; subentra a questo punto, spontaneo per chi è addetto ai lavori, di chiedersi fino a che limite il paziente sia informato, quanto e come voglia essere informato, e fino a che punto (sia esso culturalmente ricco o dotato solo di senso pratico) possa decidere tra diritto alla vita o diritto alla morte.
Sappiamo che il consenso «informato», per quanto esauriente e dettagliato, non può mai, in maniera diretta, dire al paziente che ha un tumore, che gli permetterà di vivere poco. Trovo, a questo punto estremamente corretto sul piano etico, deontologico ed umano chiarire con note indiscutibili che di fronte ad una malattia inguaribile, egli sappia di avere una patologia grave e curabile, e che possa divenire più grave e mortale se non curata (solo così potremmo diminuire o evitare il numero di suicidi da depressione reattiva).
Per quel che riguarda la decisione che un soggetto possa o debba decidere se donare organi, se voler usufruire di terapie compassionevoli o di voler usufruire di accanimenti terapeutici in «limite vitae » trovo estremamente incauto pilotare la volontà del cittadino, in quanto sappiamo noi stessi che le decisioni intorno ad argomenti così delicati come anche per il temibile «suicidio assistito » e per l’eutanasia, possano essere influenzati da momenti, notizie, stati d’animo, considerazioni viziate da fenomeni familiari od altro. Sappiamo inoltre che a venti anni, ed è l’esperienza personale colloquiando con i miei studenti, non si può avere lo stesso concetto del diritto alla vita od alla morte che si può avere a settanta anni e, per di più la differenza etnica, religiosa, morale o ambientale possono influire in modo determinante e possono far cambiare le decisioni.
In ultima analisi, ritengo dopo accurata ponderazione e consultazione con persone di varie condizioni sociali ed età, che si possa accettare un’eventuale, volontaria, richiesta di «testamento biologico» solo a condizione, in pazienti perfettamente conosciuti, di poter rinnovare, come per una carta d’identità, ogni 5 anni dopo i 50 anni ed ogni 10 prima di tale età, la volontà espressa o di modificarla per alcune voci o di annullarla.
Solo così il medico, di fronte a frangenti in cui debba decidere insieme ad altre autorità se far morire o vivere il paziente, potrà venire incontro al desiderio del paziente che è conscio di quello che vuole, ma soprattutto non dovrà venire al compromesso con il suo compito di essere «custode della vita» come dice Giovanni Paolo II e con il principio con cui i medici si laureano e che non dovrebbero mai dimenticare che recita: «Primum non nocere».

di Giuseppe Maria Pigliucci

 
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