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Avvocatura: La politica, i giudici, le ispezioni
Posted by InGiustizia on Monday, February 14 @ 00:00:00 CET
2004 Download periodico

Lettera aperta della Camera Penale di Roma in occasione dell'anno giudiziario.



E’ trascorso appena un mese dall’approvazione della pseudo riforma dell’ordinamento giudiziario (i cui destini, comunque, sembrerebbero tutt’altro che scontati) che la giustizia torna a far parlare di sé per via della sconsiderata aggressione romana al Presidente del Consiglio.
Si levano, dalla maggioranza governativa, richieste e minacce di ispezione ministeriale nei confronti del Giudice per le indagini preliminari “reo” di non aver mantenuto in carcere l’aggressore del premier, in tal modo dando conferma che i passati proclami delle forze di governo sull’uso necessariamente residuale ed eccezionale della custodia cautelare non erano frutto (come da sempre denunciato dai penalisti italiani) di una sedimentata cultura delle garanzie processuali ma solo di slogan ad usum delphini.
I penalisti romani, facendo seguito alle posizioni assunte negli ultimi anni e mesi dall’Unione delle Camere Penali, senza – come sempre – entrare nel merito della vicenda giudiziaria di cui ignorano gli elementi, sentono il dovere di protestare contro tale inaccettabile intrusione nell’autonomia e nella discrezionalità di un singolo magistrato (peraltro noto per equilibrio e scrupolo), rilevando come l’incultura delle garanzie continui a permeare le forze politiche (e non solo quelle di maggioranza, come si vedrà) del nostro paese.
Già qualche mese fa, il presidente della Commissione parlamentare Antimafia (ex magistrato ed esponente del maggior partito di governo) si è esibito in un veemente attacco alla magistratura di sorveglianza, colpevole di presunti eccessi di garantismo e di scarcerazioni “facili”, e già allora le Camere Penali italiane rilevarono – da una parte – la gravità dell’attacco e della “cultura emergenziale” che lo connotava, dall’altra il preoccupante silenzio della magistratura e l’aperto consenso all’appello giustizialista di numerosi e “qualificati” esponenti dell’opposizione (per tutti un noto e rispettato componente della Commissione Antimafia del principale partito d’opposizione).
Si è visto, dunque, che la difesa dell’autonomia della magistratura non passa, per la magistratura stessa e per le forze politiche italiane, attraverso valutazioni di carattere generale ma, di volta in volta, si dispiega attraverso l’analisi critica di specifici provvedimenti in relazione a singole vicende giudiziarie.
E su tali specifici provvedimenti il giudizio per gli uni e per gli altri è ormai misurato rispetto al “danno” o meno che questi possano determinare per la maggioranza governativa.
E’ così che, mentre si scatena la polemica sull’indecoroso provvedimento in itinere sulla prescrizione dei reati, nessuna voce di dissenso si è levata, neppure dalla magistratura associata, sui provvedimenti “per Napoli”, sulle proposte di aggravare il “doppio binario” e di introdurne addirittura un terzo, sulle ipotesi ventilate di sostanziale abolizione del Tribunale del riesame e di ritorno all’ordine di cattura di remota memoria.
Da anni i penalisti romani, con quelli di tutta Italia, denunciano (e continueranno a farlo nonostante i tentativi romani di normalizzazione che segnaliamo in un separato documento) il problema della terzietà del giudice nel nostro ordinamento, ma con la coerenza e la lealtà di connotare politicamente tale battaglia ideale. Essa, infatti, non rappresenta affatto un attacco alla magistratura, ed anzi è finalizzata all’esaltazione del ruolo di terzietà di un Giudice davvero autonomo ed equidistante dalle parti.
In tale, misero, “livello di dibattito” sulla politica giudiziaria, permangono inalterati, a pochi giorni dall'ennesima inaugurazione dell'anno giudiziario, i problemi culturali ed organizzativi che pervicacemente non si vogliono risolvere.
Anzitutto il centrale problema della terzietà del giudice, principio ormai costituzionale del quale, in apertura del nuovo anno, intendiamo per l’ennesima volta denunciare la scientifica irrisione.
Irrisione che deriva non soltanto dalla falsa riforma dell’ordinamento giudiziario, che cambia tutto per non cambiare nulla, ma anche (e qui ci riferiamo specificamente alla realtà romana) dall’atteggiamento del Consiglio Superiore della Magistratura, che sta manifestando negli ultimi mesi e nelle ultime settimane un’evidente quanto “ufficiale” tendenza al disprezzo del principio costituzionale.
Ci riferiamo al fatto che a Roma, nell’ultimo periodo, si sta verificando, sotto gli occhi di tutti, un sistematico afflusso di magistrati inquirenti nelle sezioni giudicanti di primo e secondo grado (forse per anticipare la “riforma Castelli”…) e addirittura si propone un procuratore aggiunto come responsabile dell’Ufficio GIP (con una facile battuta: il controllato che d’incanto diventa controllore).
Naturalmente si tratta di ottimi magistrati e di persone eccellenti, ma - proprio per questo - ancora una volta non si vuol comprendere come l’apparenza nella giustizia debba corrispondere e corrisponda anche alla sua sostanza.
Cosa deve pensare non (solo) l’avvocato ma il comune cittadino nel rilevare che quel pubblico ministero così giustamente diligente nel ruolo di accusatore fino a ieri, l’indomani riveste i panni del Giudice nella stessa sede giudiziaria?
E cosa si può pensare della terzietà di questo magistrato di fronte ai suoi colleghi accusatori, con i quali agiva sino a poco prima in stretta quanto doverosa sintonia?
E’ vero che la situazione romana è persino di scarso rilievo rispetto, ad esempio, al fatto che due esponenti del pool antimafia della Procura “più militante” d’Italia (leggasi Palermo) sono stati investiti delle funzioni giudicanti nel Tribunale dinanzi al quale, poco prima, esercitavano la funzione d’Accusa, ma ci si domanda – allora – cosa sia rimasto, nel desolante silenzio che ci circonda, delle parole che pure avevamo sentito nei mesi scorsi da parte dell’Associazione Nazionale Magistrati e delle forze d’opposizione, quando si era quantomeno riconosciuto che il problema della terzietà del giudice nella medesima sede giudicante, in effetti, era serio, ma che esso si sarebbe certamente risolto, senza necessità di riforme, diligentemente evitandosi – da parte del CSM – il passaggio dei magistrati da una funzione all’altra nella stessa città. Chiacchiere, solo chiacchiere.
Nel modesto e deprimente panorama che si offre agli occhi della pubblica opinione, l’inaugurazione dell’anno giudiziario è destinata a rimanere quella parata di regime che già lo scorso anno la Camera Penale di Roma aveva denunciato, insieme alle Camere Penali di tutta Italia e (perfino) al resto dell’avvocatura associata.
Partecipare a tale ormai burocratica e grottesca manifestazione, cui, pure, siamo stati ritualmente invitati, rappresenterebbe soltanto un’ingiustificata connivenza nei confronti di una Giustizia che, purtroppo, sta perdendo credibilità e autorevolezza (con gravissimo danno di tutti) non solo per i gratuiti attacchi del mondo politico ma anche e soprattutto per l’incapacità di rinnovarsi e di guardare al proprio interno.
A tutto questo intendiamo ancora una volta sottrarci, ed è per questo che il 15 gennaio, ancora una volta, non ci siamo prestati a partecipare alla cosiddetta inaugurazione dell’anno giudiziario.

 
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