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Giustizia: Storie di ingiustizia vissuta
Posted by Della_Valle on Wednesday, February 23 @ 14:41:51 CET
2003 Download periodico

Lo spazio abissale che corre tra la domanda di giustizia e la risposta inadeguata e talvolta cinica che danno gli uomini



Questa è la storia di un ascensore e di un malato terminale, una storia triste come è triste il dolore umano.
Alberto era mio amico.
Non lo sentivo da qualche anno ma l’amicizia era viva perché le esperienze comuni erano state importanti e liete.
Lo ricordavo generoso e ottimista, pronto alla lotta ma anche al perdono.
Mi telefonò ai primi di marzo. «Ho il cancro» mi disse con voce spezzata.
«Non posso più fare le scale; lo sai abito al sesto piano. Ho bisogno dell’ascensore ma mi hanno tolto la chiave perché a suo tempo non ho partecipato alle spese dell’impianto che è stato fatto da altri condomini. Però era prevista la partecipazione o l’uso da parte di altri condomini.
Mi chiedono ottomila euro; ma di pensione ne prendo ottocento e... devo curarmi. Vorrei partecipare solo all’uso... ma anche per questo mi chiedono cifre spropositate».
«Aiutami» mi disse.
Era il sei marzo.
In tutta fretta butto giù un ricorso d’urgenza, metto a confronto i beni giuridici in questione: il diritto di proprietà, il diritto alla salute, l’obbligo di solidarietà e di soccorso.
I referti della ASL sono drammaticamente eloquenti: «Coloncarcinosi peritoneale e metastasi epatiche, condizioni generali gravi, invalidità totale e permanente al 100 %».
Chiedo la trattazione immediata.
Ma il giudice del turno è tranchant: «l’ascensore è stato installato da tanto tempo... il Suo cliente poteva muoversi prima». Provo a spiegargli che «prima» Alberto non era malato e dunque poteva strainfischiarsene dell’ascensore. Non serve a niente... del resto chi ha mai incontrato un giudice disposto a cambiare idea! Si seguono i tempi ordinari.
Il 700 viene assegnato a una signora. Me ne rallegro fiducioso nella sensibilità femminile.
Mi precipito da lei a fine udienza per illustrare la gravità e urgenza del caso.
Mi sento certo di parlare a un orecchio attento; sicuramente provvederà inaudita altera parte.
Ma... quando finisco mi fa, con infastidita freddezza, «avvocato, me lo devo guardare».
Il 18 marzo si discute il ricorso.
Il giudice con motivazione avara respinge e condanna alle spese accogliendo le tesi del resistente: l’amministratore del condominio non è passivamente legittimato e poi... manca il fumus. Alberto mi telefona supplicando; il mancato uso dell’ascensore ostacola anche le cure domiciliari che la ASL gli ha assegnato.
Faccio reclamo richiamando la giurisprudenza secondo cui l’amministratore è invece legittimato per ogni impianto comune a tutti o ad alcuni condomini.
Ancora una volta lamento le condizioni di Alberto ormai gravissime.
Si va in camera di consiglio il 16 aprile; collegio e avvocati siedono intorno a un tavolo; il clima è partecipativo.
Illustro il caso e non riesco a trattenere l’emozione.
Credo di avere chiesto al Collegio se la Giustizia sia un mostro senz’anima, un Leviatano che si nutre di codici ed espelle sentenze. Credo di avere alzato la voce molto al di là del bon ton.
Il Tribunale accoglie il reclamo con ordinanza datata il successivo 17 Aprile.
Ma il provvedimento è depositato... il 2 Maggio: mancava una firma!!! Il Collegio conviene che l’amministratore del condominio è passivamente legittimato, che Alberto ha diritto a usare l’ascensore sol che versi una modesta cauzione.
Ma da qualche giorno Alberto non mi telefona più.
L’11 maggio muore nel letto a sbarre che l’ASL gli ha assegnato insieme all’assistenza domiciliare.
Dell’ascensore, della giustizia degli uomini non sa che farsene.
Sono passati due mesi; due mesi per soccorrere un moribondo.
Perché ho raccontato questa storia ?
Perché ancora una volta ho misurato lo spazio abissale che corre tra la domanda di giustizia e la risposta inadeguata e talvolta cinica che danno gli uomini... e mi sento in colpa perché partecipo a questo inutile e talvolta tragico rito.

di Giorgio Della Valle
Avvocato del Foro di Roma

 
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