Risposta all’Articolo su Corriere della sera del 21 Agosto 2003
Gentilissima Signora
Marchesi,
dopo aver letto con
disappunto il Suo articolo
sul Corriere della sera del
21/08/2003 ho consultato
il sito e le Sue risposte rilasciate
ai Colleghi Alberto
Ferraresi e Diego Corrado.
La durata del processo ed
il numero di udienze in
esso effettuate non incidono
affatto sulla parcella finale
del professionista in
quanto con l'attuale codice
di procedura la durata del
processo non dipende dal
numero delle udienze, ma
dal lasso di tempo che i
Giudici indicano (a loro
insindacabile e motivata
scelta) tra l'una e l'altra
udienza e persino per la
sentenza.
L’onorario dell'avvocato si
distingue in diritti (fissi
per valore di causa) e onorari
(min/medio/max) per
valore e, in pratica mentre
le voci relative ad una
udienza sono risibili (al
massimo 77,40 euro per
una causa di oltre il
1.549.000 euro di valore),
la vera remunerazione tariffaria
avviene sulla base
degli atti importanti della
causa che non mutano affatto
in dipendenza della
durata complessiva del
processo o di una o due
udienze in più. Appare
quindi totalmente inesatta
la Sua opinione sotto il
profilo della convenienza
tecnica dell'avvocato a far
durare la causa.
La durata del processo indebolisce
la figura del
professionista nei confronti
del proprio cliente e,
spesso, gli fa perdere altre
occasioni di lavoro perché
un cliente non soddisfatto
tende ad affidare ad altri,
ritenuti a torto più efficienti,
la tutela di altre
eventuali questioni giuridiche
insorte medio tempore.
La durata del processo
svaluta, di fatto, l'onorario
dell'avvocato in quanto il
suo credito, essendo di valuta
(se, come credo, Lei
conosce la differenza tra
credito di valuta e credito
di valore) non é soggetto
ad interessi o rivalutazione
se non dopo tre mesi dall'emissione
della parcella
che verrà emessa, ovviamente
alla conclusione
della causa, detratti gli acconti,
eventuali, ricevuti.
La durata del processo
espone l'avvocato ad una
serie di adempimenti ulteriori,
di fatto quasi sempre
irremunerati, quali telefonate
di informazione, lettere
d'avviso etc.
Da queste informazioni
potrà, spero, comprendere
come sia stata sostanzialmente
errata in fatto e diritto
l'informazione resa al
pubblico nell'articolo pubblicato
sul Corriere della
Sera. Le sarebbe bastato
consultare la tariffa forense,
valutandola appieno,
per verificare come non
siano certo gli avvocati ad
aver interesse a processi
lunghi.
Le chiedo pertanto, anche
a nome dei Colleghi del
Consiglio dell'Ordine di
Roma e della Commissione
di cui mi onoro di essere
componente, di ritornare
sull'argomento, sia sul
sito, sia sulla carta stampata,
per chiarire realmente
la situazione.
di Settimio Catalisano
Avvocato del Foro di Roma