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Famiglia: Quale sorte per il mantenimento?
Posted by Vaccaro on Wednesday, February 23 @ 14:53:50 CET
2003 Download periodico

Brevi considerazioni in ordine alla natura degli assegni di separazione e di divorzio tra i coniugi



In ordine alla ultima proposta di legge presentata con il numero 2444 alla Camera dei Deputati ed a firma dell’Onorevole Montecchi più altri, non si può non rilevare come, allo stato degli atti e degli interventi succedutesi anche in occasione del dibattito parlamentare della seduta del 24.3.03, l’attenzione del Legislatore si sia concentrata sostanzialmente nel verificare il nuovo portato della disciplina proposta, come innovativo sotto l’aspetto della «cessazione della comunione legale tra i coniugi» sottolineando come l’effetto innovatore sia quello di anticipare alla «pronunzia della separazione» l’effetto della cessazione della «comunione legale» e non come oggi accade laddove l’effetto della cessazione della comunione è legato o alla pronuncia dell’Omologa nella separazione consensuale, o in caso di «giudiziale » l’effetto sia collegato alla Sentenza di separazione, pronuncia che può effettivamente intervenire anni dopo la soluzione della comunione abitativa tra i coniugi, che viene sancita dal «provvedimento presidenziale ».
V’è però un aspetto diverso «sostanziale» che sino ad oggi non pare sia stato trattato con la necessaria attenzione, tale aspetto può riassumersi nel quesito: «cosa sarà dell’assegno di mantenimento, previsto per il coniuge affidatario della prole minorenne, quando richiesto il divorzio dopo un anno, i criteri da dover applicare, per valutare l’ammontare dello stesso sono quelli diversi, per presupposti e fini, così come statuito dalla Dottrina e dalla Giurisprudenza?».
In altre parole, giova ricordare, che la disciplina sostanziale del nostro diritto di famiglia, prevede espressamente, e numerosissime Sentenza sulla materia lo confermano in via univoca, una sostanziale diversità sia nei presupposti, sia nei fini di quello, che per comodità, possiamo chiamare «l’assegno della separazione» rispetto al diverso contributo, che sempre per semplicità potremo chiamare «l’assegno divorzile».
Il primo, in estrema sintesi, rappresenta, all’atto della soluzione della vita matrimoniale in concomitanza con il provvedimento Presidenziale di natura urgente, il contributo posto in capo al coniuge «economicamente più forte» in favore del «coniuge economicamente più debole», normalmente «affidatario della prole» contributo che viene calcolato sulla base di quello che era ed è «il tenore di vita della famiglia» per conservare al coniuge affidatario ed ai figli quel tenore di vita, necessario per ridurre l’effetto destabilizzante della separazione «sui figli».
In questa ottica, vogliamo ricordare sono altresì da interpretare tutte le pronunce, che vogliono la conferma dell’assegnazione della casa coniugale, in favore di quello tra i coniugi che risulterà più idoneo all’affidamento dei figli minori. In altre parole, l’assegnazione della «casa coniugale» non è di premio per il coniuge affidatario, ma di necessaria tutela per lo stress emotivo dei minori, coinvolti, loro sì senza alcuna responsabilità, nell’evento separativo.
Come già sottolineato, sono molto numerose le pronunce della Giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, che dimostrano univocamente quanto diversi siano i presupposti e la natura dell’assegno percepita dal coniuge in caso di separazione, rispetto e quello percepito nel successivo caso di divorzio.
Quanto all’assegno di separazione, il riferimento normativo è costituito in primis dall’articolo 156 del codice civile, in forza del quale il diritto di un coniuge di ricevere, in seguito a separazione, dall’altro coniuge quanto necessario al proprio mantenimento – «qualora egli non abbia adeguati redditi propri» –, può essere visto come la trasformazione di un precedente obbligo, avente la sua fonte legale nell’articolo 143 del codice civile, ed in particolare dell’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia.
Al contrario, ciò non accade, come vedremo, nel caso dell’assegno divorzile, in quanto il sorgere del «fatto-divorzio» comporta la nascita di un nuovo diritto, la fonte del quale non è più il vincolo matrimoniale, bensì è la pronuncia che fa cessare gli effetti civile del matrimonio.
Più specificamente, presupposto fondamentale affinché il coniuge separato, al quale non sia addebitata la separazione, possa avere il diritto di percepire l’asse- gno di mantenimento, è che questo non disponga di «adeguati» redditi propri.
Ciò pone il problema di stabilire quale sia il significato da attribuire all’aggettivo «adeguati» utilizzato dal legislatore, ma soprattutto di determinare quale sia il parametro di riferimento da tenere presente nella determinazione dell’adeguatezza o meno di tali redditi.
Il concetto di «adeguati mezzi propri», volutamente utilizzato dal legislatore al fine di lasciare un certo spazio di discrezionalità al giudice ed alle parti nelle loro diverse determinazioni, è da rapportarsi, per Giurisprudenza costante, al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio.
L’adeguatezza deve essere, dunque, commisurata al tenore di vita della famiglia in costanza di convivenza.
Ancora più specificamente, è bene sottolineare come il tenore di vita che il coniuge separato ha diritto di mantenere, anche a seguito della separazione, non deve essere confuso con quello che di fatto l’altro coniuge gli consentiva prima della separazione, ma è quello che gli avrebbe dovuto consentire in base alle sue «effettive capacità».
Ed è proprio su tale approfondimento- indagine che viene alla luce la valutazione che il Giudicante dovrà operare rispetto alla reale capacità reddittuale del coniuge, tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento.
Vediamo ora la natura e i presupposti dell’assegno cosiddetto «divorzile».
Anche se apparentemente le espressioni utilizzate dal legislatore per individuare i presupposti per la nascita del diritto alla percezione dell’assegno, nel caso di separazione e nel caso di divorzio, potrebbero sembrare a prima vista assimilabili, ad una più attenta analisi ci si avvede del contrario.
Infatti, il concetto di «adeguati redditi proprio» contenuto nell’articolo 156 del codice civile (separazione), e il concetto «quando il coniuge non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive» utilizzato dal legislatore nell’articolo 5 della Legge 898 del 1970, poi modificato dalla Legge 74/87, (divorzio) corrispondono a criteri interpretativi fondamentalmente diversi.
Tanto è vero che la Giurisprudenza ha qualificato l’assegno di divorzio come avente natura «assistenziale », nel senso che la sua concessione trova il suo presupposto nell’impossibilità per l’ex coniuge di procurarsi da sé mezzi di sostentamento che gli consentano di condurre un’esistenza libera e dignitosa.
Vediamo infatti tra le tante la Sentenza 2955/1998, Cassazione Civile Sezione 1° che testualmente statuisce: «A seguito della disciplina introdotta dall’articolo 10 Legge 74 6.3.87, che ha innovato la normativa di cui all’articolo 5 della Legge 898 1.12.70, attribuendo all’assegno di divorzio natura esclusivamente assistenziale, il richiedente deve fornire la prova della mancanza di mezzi economici che gli permettano di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, senza che a tal fine possano supplire i poteri officiosi di indagine spettanti al giudice».
Ancora sempre nella medesima statuizione la Suprema Corte prosegue: «il divario delle condizioni economiche dei coniugi al momento della pronuncia di divorzio, non di per sé solo presupposto sufficiente per l’attribuzione dell’assegno divorzile…».
Sempre con le medesime espressioni sono poi intervenute numerose altre Sentenze della Suprema Corte, tanto da poter permettere, agli addetti ai lavori, di definire la “natura” dell’assegno divorzile, come pacifica per giurisprudenza costante.
Poste queste premesse, non v’è chi non veda come la proposta Montecchi numero 2444, possa prestare il fianco a due ordini di considerazioni critiche, in primis la valutazione positiva della «immediata soluzione della comunione legale dei beni, con conseguente possibilità per il coniuge di ottenere più rapidamente la metà di sua competenza», può essere facilmente ridimensionata, nella sua supposta efficacia, sol considerando che nella vita concreta, tra i coniugi i dissapori non portano alla separazione in modo fulmineo ed inaspettato, ma sono sempre il frutto di una «crisi interrelazionale » che ha come primo effetto quello di non leggere più «l’altro» come elemento con il quale, o sul quale investire, e quindi si perviene all’atto della separazione con un patrimonio comune ormai, molto, troppo spesso, depauperato e ridotto, per le scelte poste in essere proprio nel periodo antecedente alla separazione, in quella zona neutra dove «chi muove per primo vince », e molto spesso chi muove per primo e il medesimo soggetto abituato a ragionare in termini economici ed imprenditoriali, molto raramente patrimonio di una «casalinga».
Ma il dato più allarmante non può non considerarsi la «consequenziale drastica riduzione dell’ombrello protettivo» costituito dall’assegno di separazione, che non accompagnerà più il coniuge debole per i primi tre anni dalla separazione, ma esporrà questi a dover fare i conti con la diversa natura dell’assegno divorzile, non appena decorso «un solo anno»!
Da qui la necessità di dover predisporre degli emendamenti alla proposta in discussione alla Camera, prevedendo, al di là delle corrette considerazioni relative al necessario passaggio del tempo affinché possa essere elaborato «il lutto connesso all’evento separativo», formulate dalla Dottrina dominante nell’ambito della Psicologia Relazionale, quanto meno una specifica previsione di un correttivo riguardo alle separazioni in presenza di figli minori, e a quelle separazioni dove è presente un coniuge che si sia dedicato, per scelta comune, alla cura domestica.

di Giorgio Vaccaro e Daniela Carletti

 
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