L’articolo è uno di
quei corsivi destinato
ad essere letto
per lo più da lettori culturalmente
preparati e si
trova a fianco ad una delle
tante cronache del processo
SME sul quotidiano Il
Messaggero: l’autore è una
persona qualificata sia giuridicamente,
in quanto ex
Avvocato dello Stato, che
politicamente, in quanto
Ministro della Funzione
Pubblica.
L’articolo è uno di
quei corsivi destinato
ad essere letto
per lo più da lettori culturalmente
preparati e si
trova a fianco ad una delle
tante cronache del processo
SME sul quotidiano Il
Messaggero: l’autore è una
persona qualificata sia giuridicamente,
in quanto ex
Avvocato dello Stato, che
politicamente, in quanto
Ministro della Funzione
Pubblica.
Luigi Mazzella, ex socialista,
una carriera all’interno
della Pubblica Amministrazione
ed un curriculum vitae
nel sito ufficiale del
Governo che segnala l’ultimo
incarico prima di quello
attuale nel 1993, interviene
con un articolo dal titolo
<>
cui l’estensore conferisce
tanta importanza da inserirlo
il giorno stesso della sua
pubblicazione nel sito internet
del Ministero da lui
presieduto.
Con uno stile dotto, pervaso
da un tecnicismo che
nasconde la volontà di sondare
il terreno senza scatenare
polemiche, il Ministro
scrive che <>
sul tema sarebbe
<>.
In sintesi, ad avviso dell’uomo
politico, la presenza della
parte civile nel processo
penale creerebbe degli squilibri
nel rapporto tra accusa
e difesa, specie nei processi
con molte parti lese, tanto
da essere suscettibile di
dubbi sulla sua costituzionalità
e, comunque, sarebbe
di ostacolo alla celerità dei
dibattimenti.
La parte civile è sempre stata
considerata in dottrina
una sorte di parte sopportata
all’interno del processo penale,
con limiti e preclusioni
i quali ne alteravano sostanzialmente
la capacità
operativa rispetto a quella
del difensore dell’imputato:
quindi il dibattito che il Ministro
suggerisce di aprire,
in realtà, è sempre stato
aperto, sia pure in senso inverso,
cioè quello della necessità
di parificarla alle altre
parti processuali.
Il nuovo testo dell’art. 111
della Costituzione, parificando
al 2° co. la posizione
delle parti all’interno del
processo, sembra invero anch’esso
suggerire la necessità
di rimuovere ogni eventuale
ostacolo all’esercizio
dell’azione civile all’interno
del processo penale.
Periodicamente, con voci
che partono anche da esponenti
dell’attuale Governo,
si è tentato di sondare l’opinione
pubblica sul tema della
obbligatorietà o meno
dell’azione penale da parte
del P.M., ventilando magari
l’ipotesi di fornire annualmente
la lista dei reati da
perseguire con maggiore attenzione.
E’ un tema scottante, ma
non scandaloso, atteso che
le proposte traggono origine
dalla realtà attuale in sistemi
giuridici anglosassoni,
oggi molto apprezzati in
quella che era la patria del
diritto.
Napoleone tentò di unificare
l’Europa basando i suoi codici
sugli istituti del diritto
romano, ma non si può negare
che la spinta dominante
degli inizi del 3° Millennio
sia quella che proviene dalla
realtà anche militare anglo
americana, sicché occorre
essere realisti e verificare
quali istituti estranei alle nostre
tradizioni giuridico culturali
possano modernizzare
il nostro sistema armonizzandolo
con quello dei paesi
dominanti senza creare disagi
sociali.
In un sistema ove lo Stato riduce
la sua presenza anche
nel settore penale, limitandosi
ad intervenire solo nei casi
più eclatanti o più sentiti dall’opinione
pubblica, l’equilibrio
dovrebbe essere ricercato
non già escludendo da tale
processo il privato / parte lesa,
bensì ponendosi il quesito
se non sia più corretto trasferire
allo stesso la possibilità
di esercitare l’azione penale.
Si tratterebbe, quindi, di passare
dal filtro della condizione
di procedibilità nei reati
perseguibili a querela della
persona offesa alla possibilità,
da parte di quest’ultima,
di sostituirsi al P.M. nell’esercizio
dell’azione, così come
è stato recentemente previsto
dal legislatore con la
citazione diretta avanti il
Giudice di Pace penale.
Il problema della lunghezza
dei processi non è certo dato
dalla presenza della parte civile
e dal contributo probatorio
che la stessa offre o dalla
discussione delle questioni di
natura civilistica, per le quali
l’esperienza delle aule di
giustizia insegna che vengono
dedicati solo pochi minuti
in sede penale. E nemmeno
sempre.
Viceversa l’esclusione della
parte civile dal processo penale
porterebbe a conseguenze
disastrose per il sistema
giudiziario e per la
giustizia.
Tutti i processi nei quali oggi
interviene la parte civile
dovrebbero essere duplicati,
con formazione delle prove
in sede penale e civile e risultati
magari contrastanti,
con conseguenti nuovi giudizi
per revocazione: il che significa
che l’attuale pauroso
ingolfamento del sistema
giudiziario italiano si trasformerebbe
in paralisi certa ed
irreversibile.
Tale evento sarebbe già di
per sé distruttivo per la giustizia
sostanziale, ma non sarebbe
l’unico, atteso che v’è
ne è un altro, sicuramente
ancor più grave: proprio in
quei processi con molte parti
lese, nei quali, secondo il
Ministro Mazzella, vi sarebbero
squilibri forse incostituzionali,
l’unica possibilità
per lo sfortunato cittadino di
avere un briciolo di giustizia
è l’azione civile all’interno
del processo penale. Infatti
nessuna persona in buona fede
può negare che, nei casi
di truffe collettive o di reati
di mafia, nessun singolo potrebbe
mai accollarsi i costi
(o i rischi) di un processo ci-
vile per far valere i suoi diritti
lesi contro gli agguerriti
avvocati del ricco criminale.
E, ancora, sarebbe giusto affidare
l’azione per l’accertamento
del fatto reato (da cui
nasce la responsabilità civile)
nelle sole mani di un P.M.
oberato di lavoro che, magari,
ha ricevuto il caso da un
suo collega sostituito o trasferito?
Anche qui l’esperienza di
tanti anni in aula consente di
affermare che, salvo i casi
eclatanti o di reati particolarmente
aberranti, senza l’aiuto
della parte civile molte sarebbero
le volte in cui il P.M.
non potrebbe che chiedere
l’assoluzione o una condanna
senza prove finalizzata a lasciare
al collega giudicante la
responsabilità dell’assoluzione.
Per defibrillare il sistema con
giustizia si potrebbero prevedere
delle ipotesi di estinzione
di reati in seguito ad un risarcimento
congruo ed eseguito
nel rispetto di forme atte
ad impedire che lo stesso
avvenga simulatamene o con
strumenti illeciti: perché sono
molte le persone le quali si
preoccupano delle condanne
penali non tanto per un carcere
ove in concreto non entreranno,
ma per conseguenze
sul loro patrimonio della sentenza
penale che stabilisca
anche risarcimenti miliardari.
di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma