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Editoriali: Sospetto legittimo
Posted by Reboa on Friday, March 18 @ 17:52:44 CET
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Mentre queste righe vengono scritte, la cosiddetta «legge Cirami» è ancora in discussione alla Camera dei Deputati, dopo essere stata approvata al Senato al termine di un virulento scontro tra le forze politiche che non ha risparmiato la figura del Presidente del Senato, cioè della seconda carica dello Stato.



Mentre queste righe vengono scritte, la cosiddetta «legge Cirami» è ancora in discussione alla Camera dei Deputati, dopo essere stata approvata al Senato al termine di un virulento scontro tra le forze politiche che non ha risparmiato la figura del Presidente del Senato, cioè della seconda carica dello Stato.
Ritengo che vi siano delle considerazioni comuni alle persone intellettualmente libere, sia se esse abbiano votato Polo sia se abbiano votato Ulivo e, all’interno dei due schieramenti, sia se la scelta stata pro o contro Berlusconi o pro o contro Rutelli: il direttore d’orchestra dei tempi della discussione è il processo di Milano a carico dell’on. Previti e del Presidente del Consiglio.
Il reale problema politico che si pone è se ciò sia o meno un fatto nuovo, cioè non conosciuto dagli Italiani al momento in cui essi sono andati a votare, e se tale comportamento costituisca un fatto di ingiustizia sostanziale e quindi sia passibile di censura se non legale, quantomeno sotto il profilo morale del conflitto di interessi.
La campagna elettorale, piuttosto che sulle proposte per il futuro e sull’esame dei risultati ottenuti dalla maggioranza che aveva vinto nella precedente legislatura, è stata impostata dall’Ulivo in un referendum pro o contro Berlusconi, raggiungendo una sorta di intesa mediatica con il leader del Polo che ha imposto al proprio team di incentrare su di lui anche la campagna dei candidati locali.
Tutte le problematiche giudiziarie dell’attuale Presidente del Consiglio sono state passate al setaccio ed utilizzate per affermare la incompatibilità tra l’uomo e la carica: nemmeno satira ed ironia hanno risparmiato il leader del Polo, inondando il web e gli amanti della carta stampata di immagini parodia dei manifesti della campagna elettorale di Berlusconi, alcuni dei quali talmente ben fatti da ritenere che il destinatario, risultato vincente nella competizione, dovrebbe conferire un premio ai loro autori che hanno contributo forse involontariamente ad accrescerne la popolarità.
Molti Pubblici Ministeri hanno accusato Berlusconi ed i suoi più affidati collaboratori di reati anche gravi: è noto che le persone prive di cultura o sensibilità giuridica recepiscono mediaticamente le semplici accuse come una condanna che non può essere eseguita solo perché ostacolata dalla presunzione costituzionale di innocenza. Il richiamo animalesco del sangue è troppo forte nell’uomo, anche in quello moderno, che guarda comodamente seduto in poltrona i reportage di guerra o i bombardamenti in diretta che hanno fatto la fortuna della CNN, così come prima assisteva alle lotte tra i gladiatori al Colosseo o cercava la prima fila nelle piazze ove la ghigliottina (o la mannaia di Mastro Titta o la forca) facevano «giustizia».
Malgrado l’istinto giustizialista del popolo ed una campagna mediatica che ha di fatto associato la facciata del Tribunale di Milano con il volto di Silvio Berlusconi, egli ha ricevuto dagli elettori una maggioranza superiore a quella alla quale, probabilmente, nel proprio intimo anch’egli credeva.
Quindi il problema che si pone non è quello della conoscenza o meno, da parte degli elettori, dei problemi giudiziari di Berlusconi, ma della legittimità, sotto il profilo della giustizia sostanziale, di una azione parlamentare finalizzata ad evitare il rischio che la eventuale sentenza di condanna trovi origine nascosta nella volontà di distruggere la figura di Berlusconi leader del Polo piuttosto che censurare suoi comportamenti quale imprenditore.
E qui nasce un legittimo sospetto diverso da quello in discussione alla Camera, cioè se la statura dei leaders e dei cosiddetti intellettuali d’assalto dell’Ulivo sia conforme al ruolo che rivestono o vorrebbero ricoprire o se essi, in realtà, siano delle quinte colonne che Berlusconi utilizza per delegittimare in ogni caso una sentenza a lui sfavorevole.
Il ragionamento è semplice.
La Costituzione riconosce ai Magistrati la possibilità di candidarsi alle competizioni elettorali e di ritornare ad esercitare le funzioni giurisdizionali al termine dei loro mandati. Quindi i Magistrati altro non sono che esseri umani laureati in giurisprudenza che hanno superato un selettivo concorso pubblico ed assunto una funzione che impone loro determinati comportamenti ed attribuisce loro un notevole potere.
Essi sono però, pur sempre, degli esseri umani, con le loro passioni politiche e sportive, pulsioni, vizi, così come è giusto che sia. Giustizia, che è una parola universalmente presente nella maggioranza delle coscienze, ma è anche un concetto astratto e legato a luoghi, usi e costumi: è quindi umano che alcuni Magistrati possano interpretare la legge ispirati dalle proprie convinzioni piuttosto che a principi di moderazione che facilitano la convivenza, ma potrebbero essere sentiti da alcuni come la negazione della giustizia o della volontà del legislatore di realizzare un certo modello di stato.
Anche la Magistratura spesso sottolinea che ciò che dovrebbe tutelare il cittadino sia dagli errori che dai possibili abusi è il sistema giudiziario inteso nel proprio complesso, con le sue garanzie, i suoi controlli, i suoi gravami, nel quale si inserisce la legge in discussione alla Camera.
Si è affermato che la «legge Cirami» avrebbe, in realtà, lo scopo di bloccare sine die i processi che abbiano quali imputate persone che possono spendere patrimoni nella loro difesa. Il testo approvato al Senato porta a ritenere tale timore non infondato: tuttavia, ove l’Ulivo avesse impostato la propria battaglia parlamentare non già contro il provvedimento, ma in favore di un emendamento giuridicamente logico e che il Polo si è dichiarato disponibile a recepire, cioè la sospensione del processo solo per il breve e perentorio termine assegnato alla Cassazione per giudicare la ammissibilità del ricorso, il problema sarebbe stato risolto ed i richiami all’Italia al rispetto della Convenzione dei diritti dell’Uomo dai quali la norma comunque tra spunto potrebbero trovare posto nell’ordinamento con il consenso di tutti.
Una sentenza di condanna di Berlusconi che il comportamento dell’Ulivo renderebbe sospetta non farebbe bene all’Italia e di ciò sono consapevoli gli uomini di tutte le parti che hanno il senso dello Stato e dell’Italia unita: perché, allora, cercare a tutti i costi di dividere il Paese?

di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma

 
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