Gli inaccettabili comportamenti dell'avvocatura romana dopo il "ribaltone" che ha portato all'elezione dell'avv. Cassiani quale presidente dell'Ordine
Lo scorso numero questa testata dedicò la prima pagina
al fatto che il Presidente del Tribunale aveva partecipato ad un convegno del
partito dei Comunisti Italiani assumendo un ruolo attivo, quello di presedente
del convegno medesimo.
Titolai il mio articolo di fondo sull’argomento “il silenzio della
rassegnazione” in quanto osservavo che molto probabilmente l’opinione
pubblica avrebbe reagito con un rassegnato incremento di sfiducia nelle istituzioni,
piuttosto che con un comportamento attivo.
Un mese dopo si può affermare che quelle previsioni si sono avverate.
Il fatto che InGIUSTIZIA abbia avuto il coraggio di dare la PAROLA al POPOLO
ed abbia dedicato la propria prima pagina ad un evento che i più hanno
ritenuto quantomeno inopportuno è stato oggetto di attestazioni di stima
e di simpatia per la testata, ma i boatos parlamentari si sono spenti e tutto
sembra essere sostanzialmente rimasto come prima.
Nel frattempo, a Roma, le polemiche si sono spostate dalla magistratura all’avvocatura.
Alle elezioni del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, nelle quali si
esprime il voto in favore dei singoli candidati, si sono però formate,
come di consueto, delle liste, in questo caso tre, una capitanata dal presidente
uscente, avv. Federico Bucci, un’altra da segretario e tesoriere uscenti
entrati in contrasto a fine mandato con il proprio presidente, gli avv.ti Domenico
Condello e Carlo Testa, ed una terza facente capo all’avv. Paolo Nesta.
La “lista Bucci” aveva ottenuto 11 seggi su 15 ed aveva visto il presidente
uscente ottenere il maggior numero di voti, la “lista Condello / Testa”
aveva riportato 4 seggi, mentre la “Lista Nesta” rimaneva al palo.
Considerato il rilevante successo, gli impegni preelettorali ed il fatto che
era stato affermato che i componenti della “lista Bucci” avevano sottoscritto
un preventivo documento nel quale si impegnavano a rieleggere il loro capolista
e presidente uscente alla massima carica dell’avvocatura romana, i numeri
indicavano quale unica sorpresa prevedibile della seduta di apertura quella
dei nomi di segretario e tesoriere, con l’auspicio di molti che, ad urne
chiuse, il contrasto tra le cariche istituzionali del precedente consiglio potesse
almeno in parte essere ricomposto.
Viceversa dal cilindro è uscita la sorpresa: presidente è stato
eletto l’avv. Alessandro Cassiani, della ormai ex “lista Bucci”,
segretario e tesoriere sono stati riconfermati gli avv.ti Domenico Condello
e Carlo Testa, con immediata elezione di un ex presidente, l’avv. Carlo
Martuccelli, a componente del Consiglio Nazionale Forense.
Oltre all’avv. Cassiani, altri tre componenti della ex “lista Bucci”
hanno votato diversamente dalle aspettative: gli avv.ti Fioravante Carletti,
Giovanni Cipollone e Grazia Pirisi Camerlengo.
L’evento ha portato ben cinque consiglieri a dimettersi immediatamente
dalla loro carica: gli avv.ti Federico Bucci, Donatella Cerè, Salvatore
Orestano, Gabriele Scotto e Giovan Battista Sgromo.
Allo stato, lo scopo dichiarato delle dimissioni (il commissariamento per impossibilità
di funzionare e, quindi, l’indizione di nuove elezioni) non è stato
raggiunto malgrado i fax e gli indirizzi di posta elettronica degli studi legali
siano stati inondati di comunicati, lettere e “chiamate alle armi”
e vi sia stata persino una manifestazione di protesta al Teatro Olimpico.
Ciò si è verificato anche in dipendenza del fatto che due neo
consiglieri, eletti nella “lista Bucci”, hanno votato il presidente
uscente, ma non hanno però ritenuto di dimettersi (gli avv.ti Ferdinando
Emanuele e Rosa Ierardi).
Considerato che ai messaggi nei quali si bollano quali traditori il Presidente
Cassiani ed i suoi tre elettori della ex “lista Bucci” si aggiungono
le risposte pepate di questi ultimi anche sul sito istituzionale dell’Ordine,
non è difficile comprendere anche per un non addetto ai lavori in quale
situazione si trovi l’avvocatura romana.
Ove poi si pensi che il Consiglio esercita in via primaria il potere disciplinare
sui propri iscritti, non vi è chi non veda quanti problemi di serenità
dell’Organo giudicante potranno essere sollevati (o sospettati) in un clima
così teso.
L’amicizia che mi lega alla maggior parte degli eletti (dimissionari e
non) nelle diverse liste ed il fatto che il mio voto, nel rispetto dello spirito
della legge professionale, sia stato indirizzato a candidati appartenti a diverse
cordate mi consentono di affermare con estrema serenità e senza voler
gettare benzina sul fuoco che, nell’intera vicenda, ciò di cui è
stato tenuto minor conto è stato l’interesse acché il prestigio
dell’avvocatura romana fosse tenuto alto.
Si è eletta quale Presidente una figura prestigiosa quale l’avv.
Alessandro Cassiani con una operazione tipica più di una loggia che di
un ordine professionale, privando così lo stesso presidente neoletto
di quell’autorevolezza che la sua carica, la sua personalità ed
il suo curriculum meriterebbero.
Si è reagito a tale operazione con un’azione istintiva, senza tener
presente che un ordine professionale non è un’assemblea politica,
ma, in primis, un’assise che giudica sui procedimenti disciplinari a carico
dei propri iscritti / elettori, spesso chiamati a rispondere di comportamenti
intemperanti.
Lascia invero perplessi il fatto che la maggioranza dei componenti di un consiglio
che aveva ben operato nella sua interezza durante le elezioni si coalizzi sotto
la bandiera del presidente uscente e, poi, non lo voti, ma lascia altrettanto
perplessi il fatto che la reazione, piuttosto che meditata e professionale,
sia stata indirizzata contro l’ente piuttosto che contro le persone accusate
di aver tradito il mandato elettorale.
Così come lascia perplessi il fatto che le dimissioni siano state prontamente
accettate.
Non ho mai creduto all’Aventino quale corretta forma di lotta politica
ed ho sempre ritenuto che le dimissioni debbano essere presentate da chi è
accusato, mai da chi accusa. Tuttavia non si può non prendere atto che
un Consiglio quale quello di Roma non può funzionare con soli 10 componenti,
essendo insufficienti anche i 15 istituzionalmente stabiliti da un legislatore
che, con una legge che prevedeva il numero chiuso dei professionisti forensi,
aveva presenti numeri di iscritti ben inferiori a quelli attuali.
Né le elezioni suppletive di Maggio risolveranno probabilmente il problema,
atteso che difficilmente il quorum sarà raggiunto.
Lascio a tutti gli interpreti, alcuni dei quali presenti nel Consiglio da prima
della nascita dei miei figli, le decisioni sulle prossime mosse per la miglior
tutela non già dei propri interessi, ma di una toga abbandonata al vento
di polemiche nelle quali la sua dignità ed autorevolezza vola via.
Romolo Reboa
avvocato del Foro di Roma