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Editoriali: Pace senza bandiere
Posted by Reboa on Wednesday, March 30 @ 15:02:30 CEST
2003 Download periodico

Esistono molti tipi di guerre...



Chi scrive non ama la guerra, ma è perfettamente cosciente che vi sono casi nei quali essa può essere inevitabile e che non è sempre corretto affermare che il responsabile del conflitto sia chi ha sparato il primo colpo.
La guerra di difesa del proprio territorio, ad esempio, è sostanzialmente ammessa da ogni religione e dalla grande maggioranza delle coscienze, eppure non sempre potrebbe essere «giusta »: vi sono territori di confine, contesi dai popoli per secoli, per i quali sarebbe molto più corretto che gli esseri umani trovassero una soluzione di compromesso piuttosto che una di forza che, inevitabilmente, provocherà nuovi conflitti in futuro.
D’altro canto chi può negare che, molte volte, vi sono uomini i quali sabotano ogni soluzione di compromesso e guidano i loro popoli sino alla vittoria o alla sconfitta. Essi vengono poi ricordati nei libri di storia come degli eroi, solo perché hanno vinto o sono morti alla testa del loro esercito perché, leggendo la storia dei popoli, il prezzo che questi ultimi pagano in termini di vite umane appare meno importante dei risultati delle azioni dei loro condottieri.
Basta scorrere i libri di storia delle scuole inferiori per rendersi conto come essi dedichino poche pagine ai periodi di pace e di benessere di questa o quella nazione, soffermandosi sugli eventi bellici o rivoluzionari.
La pace non fa notizia, non fa audience, tanto che ci si ricorda di manifestare in suo favore solo quando si deve esprimere il dissenso nei confronti di qualcuno, quasi che la voglia di pace trovi la propria linfa vitale esclusivamente nei venti di guerra.
Tralasciando quelle manifestazioni pacifiste le quali si concludono in scontri con le forze dell’ordine, in quanto la pace è solo strumentale alla volontà di sovvertire un determinato ordine costituito, certo è che anche il tema della pace si presta a strumentalizzazioni di politica interna o di politica estera.
E’ chiaro che non è sufficiente che un uomo politico si rechi ad Assisi a pregare sulla tomba di San Francesco per dire che egli voglia realmente la pace, così come è evidente che non si può accusare di essere un guerrafondaio un uomo di governo che tenta di districarsi tra gli impegni assunti all’interno di un sistema internazionale di alleanze che, se impone al paese di partecipare a certe azioni, assicura d’altro canto un sistema ed un tenore di vita al quale nessuno vorrebbe rinunciare.
Nella vicenda dell’IRAQ è palese che la maggioranza degli Italiani non è convinta della giustezza di questa «guerra preventiva» che Bush vuole scatenare in medio Oriente.
E ciò non perché qualcuno pensi che Saddam Hussein sia un uomo che meriti di occupare la poltrona che occupa o che nel suo paese si viva democraticamente, ma per motivi diversi.
Nessuno può omettere di domandarsi perché, se il dittatore iracheno costituisce veramente un pericolo per l’umanità, non è stato rimosso da Bush padre allorché egli scatenò la guerra del Golfo.
E, ancora, è difficile pensare che, se Saddam è in possesso di armi di distruzione di massa in quantità tale da minacciare l’umanità, qualcuno dovrà pure avergliele vendute.
Considerato che, prima della guerra del Golfo, il nemico numero uno degli Stati Uniti era l’Iran integralista contro il quale Saddam entrò in guerra, viene il sospetto che le certezze degli USA sul possesso di armi chimiche, batteriologiche e, forse, nucleari derivino più dalla circostanza di esserne stati i fornitori che dall’opera di intelligence della CIA.
Se, poi, ci si deve trasformare nei gendarmi del mondo, perché colpire Saddam e lasciare che nel continente africano si compiano periodiche stragi di innocenti alle quali solo i missionari cristiani cercano di porre dei fragili ostacoli?
Forse la risposta non si può dare perché paleserebbe un animo cinico e razzista: quei popoli si sterminano tra di loro perché hanno molta fame, poca cultura e non hanno il petrolio e, quindi, perché il mondo dovrebbe spendere milioni di dollari per mettere pace tra dei negri i quali morirebbero comunque contagiati dall’AIDS?
Tali ed altri «cattivi» pensieri nascono nel cervello anche di chi non ha fatto marce per la pace e giudica l’operato del Governo Italiano adeguato alle esigenze del Paese, tenuto conto che la nostra è una Nazione a sovranità, se non limitata, almeno condizionata dalla presenza di basi militari USA su tutto il territorio e dalla circostanza che la economia italiana è tale da non consentire che il Paese entri in antitesi con la politica statunitense.
Stupisce, invero, sentir critiche alla posizione del Governo Berlusconi con riferimento alla crisi irachena da parte dell’ex Presedente del Consiglio, on. D’Alema, che ordinò l’invio di bombardieri italiani su Belgrado, cioè una capitale europea a poco più di un’ora di volo da Roma, dove governava un leader con radici politiche vicine alle sue che aveva studiato negli USA e che, sino a poco tempo prima, era stato un partner in affari dei paesi occidentali.
Il vero problema politico dell’attuale governo italiano non è la propria capacità di affrontare la crisi irachena, atteso che è evidente il tentativo di mediare sia con gli USA che con il mondo arabo per rendere evidente che l’eventuale partecipazione italiana è limitata a quell’apporto che la condizione del Paese non consente di negare, ma l’immagine dello stesso in presenza di un movimento pacifista che è diverso da quelli fortemente strumentali ai quali l’esperienza ci ha abituato.
Il vero leader di questo movimento è a Roma, tra le mura di una città vaticana che non ha eserciti, ma la grandezza morale di un anziano Papa che non si rassegna ad un mondo che pare marciare verso un inevitabile conflitto mussulmano / cristiano.
I partiti di governo non debbono consentire che l’opposizione si appropri della pace trasformandola in uno strumento di guerra al governo stesso. Una bandiera arcobaleno, in quanto tale, ben potrebbe veder sfilare a suo fianco bandiere azzurre, tricolori con la fiamma, leghiste e con lo scudo crociato.
Fare giuste scelte di governo, lasciando però le coscienze in balia dei propri oppositori, è il più grave errore che potrebbe commettere un leader politico, vieppiù se perfetto conoscitore degli strumenti mediatici.

Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma

 
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