Il contratto di matrimonio e il suo scioglimento: aspetti psicologici e giuridici
Sempre più numerosi
sono gli incontri di
studio e di approfondimento
sul tema
della crisi della famiglia,
tanto da poter dire che si
sta affermando una sempre
maggiore sensibilità in
riferimento all’insufficienza
dell’approccio solo
giuridico, o solo psicologico,
in materia.
In buona sostanza l’evoluzione
del costume, la
sempre maggior incidenza
della separazione nella
normale vita di un individuo,
non possono non stimolare
gli addetti ai lavori
ad una sempre maggiore
attenzione alla necessaria
interdisciplinarietà tra il
dato psicologico ed il dato
giuridico, nell’opera di
consulenza che deve
orientare la ricerca del paziente-
cliente che abbia ad
affrontare il ristabilimento
di una sua propria esistenza,
superato l’evento della
separazione.
Il carico umano di rancore,
delusione, sconfitta,
paura e la sempre presente
sensazione di dover fare i
conti con gli aspetti umani
del capitolo, magari formalmente
chiuso, ma inconsciamente
ancora da
elaborare, necessita di una
“ nuova figura” di professionista
della materia.
Dal punto di vista prettamente
giuridico, si può
sostenere che l’aver disciplinato
il “contratto” di
matrimonio risponde alle
esigenze della certezza dei
rapporti sociali, solo che
normativizzando tale istituto
non ci si è resi conto
che solo la punta dell’iceberg
può essere contenuta
nella dizione di “accordo
tendente ad attribuire ai
coniugi reciproci diritti e
doveri”, mentre l’aspetto
più profondo, le motivazioni
più vere, che sono
state il motore della scelta,
poi concretizzatasi nella
firma avanti all’Ufficiale
dello Stato Civile, restano
sommerse, salvo venire
prepotentemente a
farsi avanti nel momento
della crisi.
Quando tutto è agito, deciso
e proposto non più
dalla volontà di costituire
una famiglia, ma dalla diversa
volontà di volersi liberare
da un vincolo, del
quale non ci si spiega più
l‘esistenza.
Molte volte non si è in
grado addirittura di comprendere
come e perché si
sia potuto sbagliare così
tanto, nella scelta della
persona, e di come si è
stati improvvidi nel far divenire
il coniuge titolare
di riconoscimenti economicamente
rilevanti ed
ora non più giustificati, né
giustificabili.
Tali sensazioni, nella loro
umanissima contraddittorietà,
sono comuni ad un
altissimo numero di separandi,
al di là della loro
cultura, del loro censo e
della loro appartenenza a
professionalità che dovrebbero
impedire di scivolare
in “errori così evidenti”.
Dunque qualcosa che accomuna
tutti, una volta alle
prese con l’evento della
crisi della famiglia, deve
esserci, deve esistere un
“minimo comune moltiplicatore
delle problematiche”!
Che veste può darne un
giurista, alla luce degli
approfondimenti operati
dalla cultura psicologica?
Il taglio giuridico non può
che riguardare la volontà
al momento della sua formazione,
tralasciando i facilissimi
luoghi comuni,
non si può non sostenere
con forza che “l’innamoramento”
quale status
mentale (innamoramento
come proiezione di un’immagine
ideale del partner
presente nel mio inconscio
e non corrispondente
al dato qualitativo effettivo)
presupposto ed intimamente
collegato all’atto
della formazione del contratto
familiare, costituisce
uno stato d’animo particolarissimo
della volontà
del soggetto che contrae il
vincolo, con necessarie ricadute
anche nel successivo
momento dello scioglimento
del vincolo matrimoniale.
Certamente non è, o meglio
non è ancora, immaginabile
un intervento
consulenziale preventivo,
ma non v’è chi non veda
come l’accordo matrimoniale
fondi la sua esistenza
su aspettative personalissime
che, al momento
della crisi relazionale,
vengono vissute come inspiegabilmente
tradite e
diventino poi l’asse portante
della conflittualità,
della polemica sotterranea
o esteriore, che caratterizza
il momento della separazione
ed il cui dato di
maggior negatività è costituito
dagli effetti e dalle
ricadute di questa sulla serenità
e su tutto lo sviluppo
e la crescita della
prole.
Ecco forse la ragione più
profonda della necessità
che si abbia a costruire
un diverso approccio
professionale ai vari
aspetti della “crisi della
famiglia”, se questa fosse
solo uno scontro tra
due parti contrattuali per
ragioni di interessi, se si
confrontassero solo
aspetti di inadempimento
contrattuale reciproci, e
se il fallimento di un
rapporto matrimoniale
avesse ricadute solo per i
sottoscrittori del contratto,
certamente non si
avvertirebbe, con tanta
tensione, la necessità di
fare qualcosa di più.
Ogni soluzione di una
convivenza, ogni fallimento
di una società familiare
(ricomprendendo
con questa espressione
anche la famiglia di fatto)
che abbia a dover regolare
i propri conti, soprattutto
comprendendo
anche dei figli, non può
che essere affrontata tenendo
nel debito conto
la particolarissima “volontà
negoziale”, presente
al momento della stipula
dell’accordo familiare,
e ricercando nella
successiva modifica del
dato di partenza, modifica
vissuta come inspiegabile
e fonte di delusione,
la ragione profonda
dei rancori delle delusioni
e delle polemiche che
ne sono alla base. Solo
agendo su tali aspetti,
solo rendendo intellegibile
la ragione della modifica
comportamentale,
si potrà orientare la consapevolizzazione
della
crisi e si potrà immaginare
di spegnere il rancore
e di superare le polemiche.
di Giorgio Vaccaro
Avvocato del Foro di Roma