Sulla riforma legislativa in materia di eutanasia
Non vogliamo lasciarci
andare a
dissacrazioni o,
addirittura, a “sgarbi polemici”,
oggi molto di
moda tra i così detti "opinionisti",
non possiamo -
tuttavia - fare a meno di
osservare come, per i nostri
mass media, negli ultimi
tempi l'argomento
Giustizia sembri circoscritto
alla "Riforma Cirami"
ed ai processi "Imi-
Sir" e "Cogne", intorno ai
quali si infittisce il tormentone
delle interviste a
giudici, avvocati e psicologi
(ormai presenti in
pianta stabile in certi studi
televisivi), con accompagnamento
di immancabile
descrizione di scene
sanguinarie o di straziante
sofferenza.
Telegiornali e servizi
"speciali" si trasformano,
sempre più spesso, in uno
spettacolo da “grang guignòl”,
in cui telecamere e
cronisti si attardano a
mostrare e narrare particolari
eccessivi, se non
addirittura morbosi, che
riguardano i crimini più
efferati.
Un tale desolante panorama
porta a chiedersi se
questi campioni della comunicazione
di massa del
terzo millennio sappiano
che maestri multimediali
dell'antica civilissima
Grecia - quali Eschilo o
Sofocle - non indulgevano
mai nella rievocazione
e descrizione visiva di
scene di violenza sanguinaria,
affidandone il racconto
al solo sottofondo
del coro, pur essendo le
loro opere delle tragedie!
Ma, tant’è. Di fronte ad
un simile quadro si avverte,
con amarezza, la scarsa
attenzione riservata da
Tv e stampa ad un'importante
riforma legislativa
di cui si sta discutendo in
questi giorni nella commissione
ministeriale presieduta
da Carlo Nordio,
il cui tema - incentrato
sulla possibilità di rivedere
la figura del reato legato
alla eutanasia - può,
senz'altro, ritenersi di
portata epocale nella civiltà
giuridica del nostro
Paese, non meno di quello
legato alla legge di depenalizzazione
dell'aborto.
La premessa di ordine
etico-filofofico da cui
muove il nuovo disegno
di legge è quella di identificare
la vita non più come
un dovere dell'uomo,
ma piuttosto come una libertà
e, quindi, un diritto
del quale - in casi ben circoscritti
- possa essere
consentito disporre.
In particolare, l'ipotesi
presa in esame è quella
del malato così detto terminale,
cioè in quello
stadio irreversibile segnato
da un arco temporale
più o meno lungo di sofferenze
e degrado psicofisico,
durante il quale il
soggetto si trova nell'assoluta
incapacità di disporre
della propria esistenza
o di chiedere ad altri
di disporne, facendo
cessare l'accanimento terapeutico
e, con esso, il
protrarsi di uno straziante
calvario.
Per tali casi, dunque, in
sede di progetto di riforma,
si sta prendendo in
considerazione, con l'opportuna
cautela, la possibilità
di consentire alla
persona, in un periodo di
vita in cui si trovi ancora
nella pienezza delle proprie
capacità psico-fisiche
e intellettuali, di redigere
e depositare (presso un
Notaio, come per ogni atto
di "ultime" volontà)
un vero e proprio "Testamento
biologico", con cui
si diano le disposizioni da
valere al momento dello
stadio terminale di un'eventuale
malattia, allo
scopo di pervenire ad
una morte dignitosa, senza
che la persona a ciò
delegata possa incorrere
nelle sanzioni penali di
cui agli articoli 579 e 580
del codice penale.
A suggerire un qualche
favore ad una possibile
depenalizzazione potrebbe
valere notare come, in
taluni paesi dell'Europa
(quale, ad esempio, l'Olanda)
si è già proceduto
alla legalizzazione dell'eutanasia,
resa possibile
sia pure in casi ben delimitati
e dopo il parere
scientifico di due sanitari,
e negli USA, da oltre
dieci anni, con l'approvazione
del "Self determination
Act" (del 1991) è
in vigore il così detto
principio di "autodeterminazione",
che conferisce
al malato terminale la
facoltà di sottrarsi all'accanimento
terapeutico.
In Italia - com'è di ogni
evidenza - il tema è
estremamente delicato e
scottante: su di esso è in
atto, in Commissione (e,
in particolare nella sottocommissione
presieduta
dal prof. Fabrizio Ramacci,
Direttore dell'Istituto
di Diritto penale della
Sapienza di Roma), un
intenso dibattito che vede
una contrapposizione alquanto
netta tra i sostenitori
della riforma - che
mirerebbero ad una depenalizzazione
di tipo generale
(olandese) o attenuata
(statunitense) - e gli
assertori della intangibilità
della vita, i quali si
richiamano ad una posizione
etica a sfondo religioso
da cui - come ha ribadito
il prof. Mauro
Cozzoli, Docente di Teologia
morale nella Pontifica
Università Lateranense
- anche l'etica giuridica
non dovrebbe discostarsi.
Si è, dunque, in presenza
di un dibattito che è tempo
di affrontare - fin da
oggi - con il massimo approfondimento
e serenità,
tenendo nel debito conto
la laicità della norma giuridica
e dello Stato da cui
essa promana, senza -
tuttavia - travolgere i valori
etico-spirituali (in
senso lato), grazie ai quali
l'esistenza umana si affranca
dal grossolano
materialismo.
La discussione - come si
vede - involge la concezione
stessa della vita di
fronte alla legge, per occuparci
della quale, francamente
– quali avvocati
- ci rifiutiamo di pensare
che si debba attendere
che il tema sia ritenuto
meritevole di entrare nel
palinsesto di un "talk
show" televisivo, immancabilmente
realizzato con
giuristi, politici e sacerdoti,
in ibrida compresenza
con attricette vistosamente
scosciate e offerto
con la collaudata tecnica
di vendita del "Porta a
Porta"!
Al contrario, crediamo
fermamente che l'avvocatura,
anche attraverso la
stampa - ed in special
modo quella forense -
debba, per tempo, stimolare
un sereno ed aperto
confronto su temi di
grande spessore sociogiuridico,
quale è, appunto,
quello della riforma
dell'eutanasia.
E', dunque, in tale ottica
che vorremmo fosse intesa
questa nostra provocazione,
alla quale - confidiamo
- possano seguire
le opinioni libere degli
operatori del diritto, tanto
più autorevoli quanto più
lontane da condizionamenti
di natura politica,
alla stessa maniera di
quanto si registrò con i
consensi larghissimi e
trasversali nei più vasti
strati della società e della
stessa avvocatura italiana
per le riforme in tema
di divorzio e di aborto.
Di Mario Romano