Il valore dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura
L’assemblea per
l’approvazione
del bilancio dell’Ordine
degli Avvocati di
Roma è ormai da alcuni
anni il momento di scontro
tra le correnti dell’avvocatura
su una questione apparentemente
contabile, ma
in realtà di grande rilievo
politico.
Il fatto <> sul
quale si discute è quello
del contributo all’O.U.A.
(Organismo Unitario dell’Avvocatura)
che l’Ordine
Romano ha da tempo eliminato
dal bilancio, seguendo
le indicazioni della
maggioranza dell’attuale
Consiglio presieduto dall’avv.
Federico Bucci.
Invero la motivazione da
sempre data a tale decisione
sia dal tesoriere, avv.
Carlo Testa, che dall’intero
Consiglio è stata prettamente
contabile / amministrativa
(si tratterebbe di
una contribuzione non consentita
dalla legislazione in
materia, atteso che l’Ordine
è un ente pubblico): tuttavia
è evidente come il
problema giuridico (che
pur esiste) sia divenuto insormontabile
in dipendenza
di una volontà politica
che va in senso inverso alla
concessione del contributo.
E che si tratti di un fatto
principalmente politico è
dimostrato dagli interventi
alle varie assemblee dei
fautori di tale contributo, i
quali si soffermano spesso
sull’importanza
dell’O.U.A., dimenticandosi
ingenuamente di risolvere
preliminarmente la questione
in punto di diritto.
D’altro canto la e-mail che
la Camera Penale di Roma
ha inviato a tutti gli iscritti,
mobilitandoli anche quest’anno
per partecipare all’assemblea
dell’Ordine
Romano al fine di bloccare
possibili emendamenti in
favore del ripristino di tale
contributo, dimostra come
non si tratti di una questione
meramente economica.
L’O.U.A. era nato per fa sì
che, di fronte al Governo ed
alle questioni che investono
la giustizia in Italia, vi fosse
un unico interlocutore in
rappresentanza di una categoria
di professionisti con
oltre 70.000 iscritti.
E’ noto che il potere politico
degli altri operatori del
diritto, cioè i Magistrati, sia
enormemente superiore,
malgrado il minor numero
degli iscritti. Essi, però,
parlano con una sola bocca,
quella dell’A.N.M., all’interno
della quale dibattono
le varie correnti anche ideologicamente
impegnate.
Quindi l’idea di un’Organismo
Unitario dell’Avvocatura
aveva una sua logica,
tanto che al congresso di
Maratea chi scrive ne fu un
convinto sostenitore.
Il fatto è che le successive
soluzioni adottate e scelte
operate non sono state tali
da consentire all’O.U.A. di
decollare nel senso auspicato
da tutti colore avevano
sostenuto l’utilità della sua
nascita.
In primo luogo si è fatto finta
di dimenticare che una categoria
di 70.000 uomini liberi
ed economicamente autosufficienti,
per parlare ad
una sola voce, deve scegliersi
una bocca alla quale tutti
riconoscano il diritto di parlare
in proprio nome. In sintesi,
per parlare a nome dell’intera
avvocatura, differentemente
da ciò che avviene
per la Magistratura, non è
sufficiente essere un buon (o
un ottimo) avvocato, ma è
necessario godere di un prestigio
professionale e mediatico
enormemente superiore.
Avvocati aventi simili caratteristiche
non superano per
numero, in Italia, le dita di
una mano. Essi o non hanno
accettato il ruolo di guida
dei colleghi o non sono stati
contattati o non hanno ricevuto
le garanzie di poter
portare a buon fine l’eventuale
incarico: era quindi
inevitabile che, dopo un primo
momento di attesa, coloro
che avevano accettato non
convinti il nuovo Organismo
si riprendessro il proprio
spazio politico, facilitati in
ciò da un consolidato rapporto
con la stampa.
Ove poi si consideri che è
indubbio che, indipendentemente
dalla dibattuta questione
se il potere di rappresentanza
<> degli
iscritti rientri o meno tra i
compiti istituzionali, le parole
dei presidenti degli ordini
forensi sono riportate dalla
stampa ed ascoltate dalle autorità,
ci si renderà conto come
la questione non possa
essere risolta attraverso più
o meno oscure manovre sul
bilancio dell’Ordine degli
Avvocati di Roma il quale,
per il suo prestigio ed il numero
degli iscritti, è sicuramente
da considerare l’azionista
di maggioranza dell’avvocatura.
La scelta di un termine tanto
utilizzato dall’on. Massimo
D’Alema nel dibattito
interno all’Ulivo non è casuale:
infatti, in politica, il
ruolo dell’azionista di maggioranza
è molto più scomodo
che in una società per
azioni.
E ciò tanto più ove i talk
show abbiano l’abitudine di
ospitare avvocati di indubbia
capacità, ma totalmente
privi di qualsiasi potere di
rappresentanza professionale.
Le Camere Penali hanno
potere mediatico perché i
loro iscritti sono relativamente
pochi rispetto al numero
degli avvocati, sono in
prima linea sul fronte delle
libertà e, quindi, dei diritti
civili.
L’esempio delle Camere Penali
non è stato ripreso dall’avvocatura
nella sua interezza,
dato che solo occasionalmente
le sue organizzazioni
si confrontano politicamente
con i molteplici
problemi sociali per i quali,
poi, i singoli professionisti
dibattono nelle aule di giustizia.
Questa testata sta cercando
di dimostrare che il confronto
tra il giusto e l’ingiusto
non può essere limitato
né all’etica religiosa né allo
scontro tra i partiti politici,
ma coinvolge aule di giustizia,
cittadini, istituzioni nazionali
ed internazionali.
Le guerre per il potere politico
e per la conquista dei
mercati o delle vie di comunicazione
o delle risorse naturali
sono nei secoli state
mascherate da motivi religiosi:
quante guerre sante,
quanti morti in nome della
giustizia…
Lo stesso ONU, allorché ha
tentato di imporre il proprio
innegabile prestigio, ha fallito:
è inutile approvare risoluzioni
se, poi, non si ha
il potere di farle applicare.
E’ inutile finanziare un Organismo
politico, se lo stesso
si limita a divenire l’ennesima
struttura stabile, magari
prestigiosa, ma estranea
alle coscienze e priva del
potere di mobilitare una categoria:
ma può essere analogamente
inutile essere
azionisti di maggioranza in
una struttura non contano le
maggioranze, ma solo il rilievo
che la stampa da a
certe opinioni.
Spesso il processo mediatico
condanna e quello nelle
aule di giustizia, dopo molti
anni, assolve. Sintanto che,
a Giurisprudenza, non si insegnerà
come materia fondamentale
la scienza delle
comunicazioni l’avvocatura
avrà pochi novelli Cicerone.
Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma