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Editoriali: Progetto legalità
Posted by Reboa on Monday, November 01 @ 18:01:55 CET
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La società capitalistica ha scelto di puntare l’attenzione sulla tutela dei diritti dei consumatori i quanto essi movimentano denaro. Il progetto legalità, viceversa, dovrebbe proporsi quale fine primario il rispetto della legge in favore dei cittadini, in quanto esseri umani.

Il panorama che osserva colui il quale punti la lente di ingrandimento sugli operatori della giustizia è eticamente a dir poco disastroso.
Per quanto riguarda l’avvocatura, egli osserverà centinaia di professionisti impegnati in sterili dibattiti o cene finalizzati ad ottenere qualche voto in vista dell’elezione dei delegati alla Cassa Forense.
Nel Lazio (ma sarebbe più corretto dire a Roma) si registra la presenza di ben dieci liste contrapposte, con la resurrezione di sigle di associazioni morte per inerzia di coloro (o colui) ai quali era stato demandato il compito di guidarle, l’isolamento di rappresentanti di altre associazioni i quali avevano raggiunto posizione di vertice, l’accorpamento in un’unica lista di tutti gli scontenti del risultato delle elezioni di Febbraio all’Ordine degli Avvocati di Roma e la presenza di candidati in odore di ineleggibilità i quali hanno scelto di guidare le loro liste incuranti dell’etico dovere di rispettare sia lo spirito (ove non la lettera) delle norme a tutela della trasparenza dei modi di accesso alle cariche forensi sia gli elettori. Essi, infatti, non dovrebbero trovarsi sulla scheda candidati ineleggibili i quali, se eletti, potrebbero essere dichiarati tali in dipendenza del ricorso di un candidato sconfitto o anche di un semplice elettore che ritenga il rispetto della legge superiore alle amicizie e, come tale, da tutelare.
Per quanto riguarda la Magistratura, egli osserverà una massa di giudicanti guidati da associazioni vicine ai movimenti politici di centro sinistra i quali si battono per la difesa di un ordinamento giudiziario approvato durante il regime fascista, a riprova che i privilegi non hanno colore politico, ma costituiscono una bandiera sotto la quale le categorie si ritrovano compatte.
La decisione della maggioranza parlamentare di approvare la separazione delle carriere nell’ambito di un unico ordinamento e di differire la scelta definitiva della strada da seguire dopo cinque anni di esercizio della magistratura non è certo né liberticida né la rivoluzione copernicana che molti auspicherebbero per dare al Paese un volto nuovo rispetto a quello attuale in tema di amministrazione della giustizia.
Tuttavia i giudici, chiamati costituzionalmente a far rispettare le leggi approvate dal Parlamento, minacciano ancora una volta uno sciopero contro le decisioni le quali dovrebbero essere assunte dal medesimo Parlamento dopo mesi di discussioni e mediazioni.
In tutto ciò nemmeno una rivendicazione salariale, a dimostrazione che simili problemi li hanno solo coloro che essi giudicano mentre nelle altre stanze disquisiscono e contrattano questioni di potere. Forse il sistema giustizia non è solo questo, ma questo è ciò che appare al primo approccio di chi lo osservi. Né dubitare di ciò che si vede conforta, atteso che la realtà potrebbe essere migliore, ma anche peggiore. E gli indizi non facilitano l’ottimismo.
La classe forense è costituita per la maggioranza di professionisti i quali si battono quotidianamente per tentare di assicurare ai loro assistiti un briciolo di rispetto delle leggi all’interno di un sistema ove il processo e la aspettativa di giustizia sono due rette divergenti aventi il medesimo punto di partenza.
Tale fatto è fonte di gravi problemi di ordine sociale, oltre che etico, atteso che dal Paese, viceversa, giunge una forte richiesta di legalità e di giustizia sostanziale, cui la classe politica non ha avuto la capacità o la volontà di dare risposta dopo la mezza rivoluzione di tangentopoli. Anzi il fatto che da più parti si lavori per riformare aggregazioni tipiche della Prima Repubblica conferma che a determinati risultati non può giungersi attraverso i colpi di un pool di PM capitanati da un uomo che ha trasformato il proprio lavoro nella ricetta per ottenere un incarico di parlamentare.
La richiesta di legalità viene dal basso e deve essere recepita in primis da coloro i quali stanno quotidianamente a contatto con il popolo.
Il contatto con la gente, all’interno della società civile, è demandato alla classe politica, mentre tale rapporto, all’interno di quello che potremmo definire il pianeta giustizia, è riservato all’avvocatura.
E qui la classe forense, fortemente impegnata nella ricerca dei voti necessari per accedere ai posti di potere negli organi di categoria, è viceversa sostanzialmente latitante.
L’Organismo Unitario dell’Avvocatura (O.U.A.), nato per dare una voce unitaria ai difensori, ha cambiato organi, ma non è divenuto quella voce mediatica portatrice delle istanze di giustizia del Paese all’interno della politica che si aspettava chi lo sponsorizzò al Congresso di Maratea.
Gli ordini forensi trovano spazio nei piccoli centri, ma nei grandi fori vengono travolti dai compiti istituzionali e da una legge approvata quando l’accesso alla professione era a numero chiuso, come tuttora avviene per i notai. Legge che limita il numero dei componenti anche in realtà, quali quella romana, ove si registra una presenza di professionisti superiore a quella degli abitanti di un comune non piccolissimo.
Eppure anche a Roma sarebbe possibile fare di più, ove la mentalità fosse differente. Basta pensare al numero dei convegni i quali mensilmente vengono organizzati per comprendere che, se determinate energie venissero indirizzate su un progetto di più ampio respiro, sia la classe forense che la popolazione con la quale essa si confronta quotidianamente potrebbero trarne giovamento. In alcuni piccoli fori gli ordini forensi convocano semestralmente i parlamentari eletti nella circoscrizione del locale tribunale e formulano le istanze a tutela della categoria e dell’amministrazione della giustizia. Lì dove queste assemblee semestrali sono state istituzionalizzate i risultati sono incominciati ad affluire.
Il che significa che, allorché una categoria ha la coscienza del proprio ruolo sociale e la volontà di ottenere dei risultati, gli stessi prima o poi arrivano. Sarebbe dovere dell’avvocatura dare vita ad un vero e proprio progetto legalità che, partendo dall’organizzazione del processo e dal suo deflazionamento attraverso la promozione dei riti alternativi in sede civile, si rivolga anche alle pubbliche amministrazioni al fine di costringere le stesse ad un rispetto non formale dei diritti dei cittadini ai quali è dovuta tutela non solo in quanto consumatori.
La società capitalistica ha scelto di puntare l’attenzione sulla tutela dei diritti dei consumatori i quanto essi movimentano denaro. Il progetto legalità, viceversa, dovrebbe proporsi quale fine primario il rispetto della legge in favore dei cittadini, in quanto esseri umani.
E’ una sfida che questa testata lancia: i prossimi mesi ci diranno se e chi ha il coraggio e la volontà di raccoglierla all’interno dell’avvocatura.

Romolo Reboa
avvocato del Foro di Roma

 
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