La morte di Papa
Giovanni Paolo II. La profonda fusione tra ragione e sentimento
Questo non è un
epinicio, o semplice
memento. E’ atto
di partecipazione, personalissima,
espressa da
cittadino dell’Umanità, da
cittadino del mondo del
Diritto.
Non escludo che la partecipazione
sia ispirata da
pathos per l’addio, forse
limitato al tempo della vita,
forse circoscritto all’apparire
reale, del Padre
Santo. Ma l’imput, è fornito
dal ricordo e dalle infinite
quanto profonde, incidenze
dei gesti, delle
mani congiunte in preghiera,
delle dita benedicenti,
delle parole pronunciate,
anche quando divennero
incerte le dita,
sincopate le parole.
Erano pronunce di quella
pace così frequentemente
e drammaticamente infranta,
di esortazione, quasi
di tono impositivo, al
rispetto dei principi di libertà,
di coesione, di giustizia.
La Sua lunga vita,
umana e pontificale, fu testimonianza
di ispirazioni
e di aspirazioni, nel segno
profondo dello Spirito,
che costituiscono il Suo
retaggio, il Suo compendio
ereditario, il più vero,
il meno oppugnabile.
E’ mio profondo convincimento
che nel Padre Santo
trovassero indissolubile
fusione gli elementi concettuali
dell’illuminismo e
dell’umanesimo. Fusione
tra ragione e sensibilità,
intesa questa come adesione
intima all’intimo.
Encicliche, decreti, scritti
pontificali, sono fonti di
diritto, non soltanto di tipologia
canonica. Da radici
giuridiche ispirati, costituiscono
indirizzi comportamentali
erga omnes,
ed indicano sentieri ben
inseribili in un più ampio
contesto normativo ed in
un più esteso corpus legis.
E pure appaiono in simbiosi,
con le sottili vibrazioni
della spiritualità, che
privilegiano le esigenze
dell’io, conscio o inconscio,
valorizzandone provenienza
ed essenza, e
proiettandole nel mondo
del concreto. Percepisco,
per questo, il coinvolgimento
nella sfera del Diritto,
ove coesistono gli
aspetti dell’essere e gliaspetti dell’esistere, il rispetto
dei primi, la tutela
garantistica degli altri.
Attuazione delle norme,
interazione con la conformazione
stessa della essenza
umana, rappresentano
elementi costitutivi del
diritto e del suo mondo.
“Sensibilità ed affabilità”,
“prudentia, sollertia, diligentia,
vigilantia”, (v. il
tacitiano “Dialogo degli
Oratori”, il ciceroniano
“Discussioni Tuscolane”).
Tutte Egli osservò, tutte a
Lui si addicono.
Il Padre Santo, che si rivolgeva
alle menti ed ai
cuori ritenendoli, come
giusto, membra vive ed
operanti dell’essere, nella
Sua ecumenicità, nel tentativo
di coniugare per
l’Umanità intera i principi
dell’essere e dell’esistere,
dispose che il suo sepolcro fosse nella terra. E’
sintomatico: il ritorno alla
fonte della vita, alla natura
del reale, alla genetrix
corporea, vibrante anche
nei minuscoli cumuli di
quella sua originaria, appaiono
componenti di
quel flusso ciclico che,
anche in senso esoterico,
dalla esistenza conduce
alla non esistenza, confluente
nel Supremo intangibile.
Non casualmente,
credo, era Suo tutor la
Madre Celeste, la genetrix
Suprema, conclamata vero
simbolo del Pontificato; e
non casualmente egli teneva
a Sé avvinta la Croce,
che alla Madre riconduceva,
poiché concepita
e vissuta nel segno del Figlio.
Non posso non congiungere
questi segni alla tangibile
presenza della sofferenza,
che fu tributo silente
e assoluto alla Madre
ed alla Croce, in
profonda, consapevole
adesione alla prima quale
fonte di vita, alla seconda
quale testimone della presenza
dell’Essere a sublimazione
della vita stessa.
Tali estremi costituiscono
la connotazione della rappresentanza,
da parte del
Padre Santo, della presenza
del Cristo in terra. E’
nel nome Loro, della Mater
genetrix e della Croce,
che Egli propagò, nel
mondo, i principi della libertà
e della pace, coniugandoli:
non può esistere
questa senza il rispetto e
la tutela dell’altra. Sono
principi, anche, di diritto
puro, dei quali costituiscono
fonte primigenia, essendo
finalizzati alla tutela
di condotta giusta ed
equa, ed alla riprovazione
di turbative comunque
connotate. La partecipazione
di quanti hanno reso,
e renderanno, omaggio
al sepolcro del Padre Santo,
e di quanti hanno versato
lagrime quando è stato,
ma solo in apparenza,
sottratto agli sguardi per
essere introdotto là dove
giace Pietro, è solo fugace,
transituro momento. Il
“quaesivi, sed non inveni”
pronunciato con disperazione
dallo scrittore Augusto
Guerriero, per non
aver attinto alla Fede in
prossimità della fine della
vita, si attenua, ora, nell’omaggio
doveroso al Padre,
che ha saputo dispensare,
con umiltà e con
amore, principi di giustizia,
di fiducia, di equità. E
non possiamo non indulgere,
con serenità al “qui
credit in me, non
morietur”.
di Mario Barca
Avvocato del Foro di Roma, Giudice di Pace in Civitavecchia