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Editoriali: Avanti miei Prodi!
Posted by Reboa on Monday, October 23 @ 18:07:21 CEST
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Subito dopo che erano stati resi noti i dati definitivi delle elezioni e prima della proclamazione ufficiale del risultato elettorale da parte della Cassazione ho deciso di dedicarmi ad un esercizio abbastanza noioso, ma estremamente interessante: verificare dal punto di vista normativo se la tesi dell'ex Ministro Calderoli della non possibilità di conteggiare i voti ricevuti dalla Lega Lombarda, alleata dell'Ulivo, avesse quelle che gli avvocati definiscono «gambe per camminare».
Le leggi elettorali hanno tutte una caratteristica: sono complicatissime da comprendere, quasi che i legislatori succedutisi nel tempo abbiano tutti voluto riservarne l'interpretazione alla Magistratura ed a pochi intimi, sicché quando ci si avventura nel loro esame si rischia il mal di testa, oltre che qualche accusa da parte dell'avversario politico del proprio cliente. La legge 270/2005 non si distacca ovviamente da questa peculiarità, anche perché si innesta nel una modifica della normativa elettorale precedente, cioè il DPR 361/1957: il fatto che tutte le molteplici riforme in questa materia siano avvenute attraverso emendamenti di una legge di circa cinquanta anni fa lascia da solo comprendere le difficoltà che incontra chi tenta di avventurarcisi, anche perché, così, è anche difficile ricercare la poca giurisprudenza in materia, dato che non sarà immediatamente comprensibile a quale versione di un articolo della norma essa si riferisce.
Nell'ultima versione della norma le parole chiave per individuare vincitori o perdenti erano «cifra elettorale nazionale»: quello dei due schieramenti la avesse avuta più alta, avrebbe avuto diritto al premio di maggioranza alla Camera dei Deputati e, con esso, la possibilità di governare. Lo spirito della norma, attraverso una serie di sbarramenti, era quello di favorire le aggregazioni tra formazioni politiche, penalizzando le formazioni prive di una significativa rappresentanza a livello nazionale, salvo il caso che appartenessero a minoranze linguistiche.
La questione sul campo era questa: «cifra elettorale nazionale di coalizione» era data dalla somma di tutti i voti ricevuti da una coalizione, oppure solo da quella delle «cifre elettorali nazionali » di ciascuna lista, a loro volta costituita dalla somma delle «cifre elettorali circoscrizionali» di ciascuna lista. Secondo Calderoli, che era stato l'estensore principe del progetto di legge, la norma era chiara: parlando di «somma delle elettorali circoscrizionali» di ciascuna lista il legislatore aveva voluto porre un ulteriore sbarramento alle liste di minoranza, nel senso che avrebbero potuto concorrere a formare la «cifra elettorale nazionale di coalizione» solo quelle in possesso di due addendi da sommare, cioè quelle presenti in più circoscrizioni. Quindi i 45.000 voti della Lega Lombarda non avrebbero dovuto concorrere alla formazione della «cifra elettorale nazionale di coalizione» e il premio di coalizione avrebbe così dovuto essere assegnato alla Casa delle Libertà. Poiché tale tesi si basava su un unico elemento giuridico, la presenza della parola «somma » che, però ben può essere interpretata anche come il risultato di «uno più zero», per pronosticare se la Cassazione avrebbe preso in considerazione la tesi Calderoli occorreva esaminare gli atti parlamentari. Né tali «sofismi giuridici» debbono stupire o debbano far affermare che Calderoli stava tentando ingiustamente di non far rispettare la volontà degli elettori in quanto tutte le leggi elettorali diverse da quelle che prevedono il proporzionale puro hanno una caratteristica in comune: la violazione della volontà degli elettori e, quindi, un'ingiustizia in nome della necessità di assicurare la governabilità.
La lunga analisi dei lavori di Camera e Senato ha consentito di pervenire ad un dato sconfortante: malgrado si trattasse di una legge nella quale i tecnicismi sono prevalenti, il dibattito parlamentare che ha preceduto l'approvazione della legge 270/2005 è stato di natura pressoché eminentemente politica, con l'Unione che contestava il premio di maggioranza, accusando la Casa delle Libertà di essersi fatta una legge a proprio uso e consumo.
L'Unione ha conquistato il contestato premio di maggioranza grazie ad una risicata «cifra elettorale nazionale di coalizione» superiore di circa 25.000 elettori e con il dubbio se i conti siano stati fatti rispettando la volontà del legislatore, che però non è desumibile dagli atti parlamentari perché nessuno si è di fatto degnato di discutere il contenuto di norme alle quali il loro padre formale, l'ex Ministro Calderoli, attribuisce un significato diverso da quello dato dalla Cassazione. Sarebbe bastato che l'on. Calderoli, in sede di discussione della legge, ne avesse chiarito il significato al Parlamento perché oggi Berlusconi prendesse il posto di Prodi. Oppure sarebbe bastato, più semplicemente, non cambiare la legge elettorale e gli stessi numeri avrebbero portato la Casa delle Libertà di nuovo al governo.
Quando all'interno delle assemblee legislative l'ignoranza o l'incapacità prevale sulla cultura e sulla preparazione tecnica, non ci si può né stupire né lamentare se la Magistratura sia costretta ad un ruolo di supplenza nei confronti del legislatore.
Romano Prodi ha vinto le elezioni grazie ad un premio di maggioranza regalatogli da Silvio Berlusconi, il quale deve riconoscere la propria generosità ed il fatto che il proprio avversario ha vinto, senza chiedere di continuare a condividere il potere attraverso forme diverse da quelle volute dagli elettori.
Se il leader dell'Unione sarà capace di tenere per cinque anni unita una maggioranza così eterogenea e la Casa delle Libertà riuscirà di non farsi logorare dall'assenza di potere, l'Italia avrà ricevuto una grande lezione di democrazia. Se così non sarà, quell'avanti miei Prodi che oggi invoca il centro sinistra assetato di potere ricorderà più le avventure dei corsari, ma consentirà al Paese di uscire da un equivoco che lo sta dilaniando.

Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma

 
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