Correva l'anno
1980 e le auto con
il lampeggiatore
entrarono negli stadi ed
arrestarono i giocatori
accusati di scommettere
sulle partite che giocavano,
alterando così il risultato.
Scoppiò così, davanti
alle telecamere, lo
scandalo del «calcio
scommesse» che portò la
Lazio ed il Milan in serie
B e molti cittadini a dichiarare
che avrebbero
cessato di seguire il calcio.
Poi l'Italia vinse i
Mondiali del 1982 e le
immagini festanti non solo
dei cittadini, ma dell'allora
Presidente della
Repubblica, Sandro Pertini,
fecero sì che quella
storia venisse archiviata,
almeno nella mente dei
cittadini. E la palla riprese
a correre, sempre di
più sotto gli occhi di tutti,
grazie ai lucrosi contratti
televisivi. E con essi
gli ingaggi dei giocatori
diventeranno così alti
che l'attuale portiere della
Nazionale non esiterà
a dichiarare candidamente
alla stampa di aver
perso nelle scommesse
su internet cifre che, tradotte
in quella cessata
valuta che però ancora si
utilizza per misurare il valore
reale delle cose, corrispondono
a miliardi di lire.
Tutti i giornali parleranno
di mafia russa e del suo ingresso
nel calcio, con acquisti
di più o meno riusciti
di grandi club europei ed
italiani. Molti tifosi reagiranno
a tali notizie, sperando
nell'arrivo di questi nuovi
capitali a sostegno della
squadra del loro cuore,
avendo essi fame di vittorie
ad ogni costo piuttosto che
la voglia di vedere uno
spettacolo forse imperfetto,
in quanto pulito e vero.
Li ho definiti tifosi, ma forse
sono qualcosa di più, se
si pensa che ormai, almeno
nel Lazio, si presentano a
tutte le competizioni elettorali
con il proprio simbolo,
apparentati ora al leader
dell'Unione ed ora a quello
della Casa delle Libertà.
Così incassano i contributi
elettorali pubblici e probabilmente
qualcosa di più in
termini di potere, visto che
possono risultare decisivi
per la vittoria di questo o di
quel candidato, con il loro
non più «mucchietto», ma
patrimonio di voti: tale va,
infatti, definita la loro base
elettorale, prendendo atto
che, alle politiche 2006, la
lista «Forza Roma» ha ricevuto
al Senato ben 13.320
consensi. Gli errori (o le ingiustizie)
arbitrali sono apparsi
clamorosi agli occhi
di milioni di spettatori e
tutti hanno sempre detto
che la Juventus aveva un
qualcosa in più del vantaggio
di avere in squadra
grandi campioni. Anche
molti suoi tifosi più appassionati
ne sono sempre stati
convinti, tanto da dichiarare
che il loro appassionarsi per
la squadra nasceva dai suoi
successi, sempre e comunque:
italico ossequio al vincitore
e dileggio dello sconfitto,
sentimenti che, nel
Novecento, riempivano
piazza Venezia quando
Mussolini era Duce e, nell'antica
Roma, spingevano
al «pollice verso» nei confronti
dei gladiatori perdenti.
Ma anche lo strapotere
dei diritti TV e, con esso,
anche della squadra di proprietà
di uno dei suoi titolari
è sempre stato sugli occhi
di tutti, i quali, invece di ribellarsi,
hanno pensato di
vedere la partita non più la
domenica pomeriggio, ma
all'ora dell'anticipo, del posticipo
e delle altre partite,
in ossequio al grande vecchio
che condiziona le giornate
dei più, sottraendo attenzioni
ad affari, amici e
famiglia. Del resto la famiglia
mediaticamente intesa
è stata ricostituita, partorendo
un grande fratello che fa
di tutto, anche l'amore, sotto
i paterni e compiaciuti
occhi delle telecamere.
Così nessuno pensa che potessero
essere millanteria le
parole di un borgataro romano
(quale Moggi è, dando
un senso etnico alla parola)
che si leggono nelle
intercettazioni trascritte sui
giornali, anche quando si
parla di un arbitro rinchiuso
a chiave negli spogliatoi di
un campo di calcio di serie
A che non è propriamente
un luogo isolato, dove non
si trova nessuno che, ad un
semplice squillo di telefonino,
sfondi una porta di legno.
E nessuno si domanda
come mai i testi delle intercettazioni
i difensori li debbono
leggere prima sui
giornali e, poi, forse, li possono
acquisire in maniera
integrale, perché coperti dal
cosiddetto segreto d'ufficio.
Probabilmente chi non segue
la trasmissione «Il
grande fratello» e giudica
gli eventi politici non solo
attraverso le lenti di ingrandimento
scelte dai conduttori
dei vari «Porta a Porta», «Matrix», ecc. ha una
opinione degli eventi diversa
e, magari, parla di lotta
di potere all'interno del sistema
bancario e di assalto
di una di queste roccaforti
di potere. Lotta di potere
nella quale sono caduti l'ex
Governatore della Banca
d'Italia, il cattolicissimo Fazio,
ed i dirigenti delle
Coop rosse e nelle quali vi
è una sorta di capitalismo
nazionale o nazionalista
che si scontra con uno più
internazionale, o meglio europeista,
che l'opinione
pubblica identifica in Prodi,
così come identificava in
Berlusconi il capitalismo
privato. Geronzi e Capitalia,
con le relative ramificazioni
nelle quali Carraro è
una struttura portante, sono
al centro di questa contesa
o forse l'obiettivo reale: certo
è che, se è vero che quella
che la stampa ha definito
la «banda Moggi» ha impedito
che i cartellini di alcuni
calciatori finissero nelle mani
della mafia russa, viene
da domandarsi se il sistema
non fosse così malato da
rendere indispensabili i
«cattivi» e se la loro caduta
non sia in realtà a causa della
Giustizia, ma dell'azione
di qualcuno ancora più «cattivo».
Certo una giustizia nella
quale prima si danno in pasto
al popolo le prove dell'accusa
e, poi, si consente ai
difensori di esaminarle è
una giustizia che reclama
una sentenza popolare di
condanna.
Una giustizia nel pallone,
con la «g» minuscola, dove
si tagliano le teste e le si
gettano in pasto al popolo
davanti alla ghigliottina,
perché ci giochi a football.
P.S.: quale Romanista sarei
felicissimo di vedere la Juventus
in serie B, ricordando
certe partite in maniera
scandalosa: ma se il tifo è
un sentimento e la giustizia
un valore, tale obiettivo non
può essere raggiunto a furor
di popolo.
Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma