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Editoriali: Riflessioni amare
Posted by Reboa on Tuesday, October 24 @ 00:00:00 CEST
2006 Download periodico

Chi mi conosce e chi segue da anni questa testata o, magari, ha letto solo il mio articolo di fondo dello scorso numero dal titolo «la pistola puntata» ben sa quanto il mio giudizio sia negativo nei confronti del decreto Bersani. Osteggiare un provvedimento non significa, però, mettersi una benda di fronte agli occhi per tentare di non vedere che ad un tale provvedimento si è giunti non solo per la avversione di una fetta consistente della attuale maggioranza per le libere professioni, ma per l’incapacità di queste, ed in particolare dell'avvocatura che appare la più colpita dal decreto, di prendere atto di nuove realtà e di affrontarle allorché il suo interlocutore era un governo sulla carta ad esse più favorevoli. Silvio Berlusconi ha fatto approvare dal governo da lui presieduto la legge sul conflitto di interessi, impedendo che il legislatore a lui meno favorevole potesse decidere della sorte dei suoi beni. Gli avvocati, viceversa, si sono chiusi nel loro fortino di norme approvate quando la società era diversa e che si basavano su un presupposto logico fatto saltare da un decreto luogotenenziale, che abolì il numero chiuso. La legge professionale originaria prevedeva che il numero di avvocati dovesse essere rapportato a quello della popolazione, così come avviene per i notai. Ove quella legge non fosse stata modificata, oggi vi sarebbero poche migliaia di avvocati, organizzati probabilmente in grandi studi che si avvarrebbero della collaborazione di decine di assistenti laureati in giurisprudenza.
L'organizzazione degli uffici sarebbe stata competitiva con quelli stranieri ed avrebbe impedito agli stessi occupare la fascia di mercato delle consulenze e dei contratti per le grandi aziende (nella quale la patria del diritto è importatrice di manodopera intellettuale!), assicurando così ai giovani laureati opportunità lavorative di nome meno nobili, ma di fatto meno precarie. Le complicate parcelle con decine di voci relative ad attività di routine finalizzate solo a giustificare il raggiungimento di un certo importo sarebbero da tempo state sostituite con le più semplici tariffe orarie, che hanno il vantaggio di far capire al cittadino che i servizi degli operatori qualificati vanno pagati e che chi meno costa, meno vale perché, se si ha alle spalle una organizzazione che succhia denaro ogni mese, sotto certi prezzi non è possibile andare. Purtroppo prevalse il clima post bellico ed il lucido disegno di alcune delle forze politiche che abbatterono il Fascismo ed osteggiavano il fatto che i liberi professionisti fossero la classe dirigente del Paese: così si aprirono le porte indiscriminatamente e quella, che tuttora qualcuno si ostina romanticamente a chiamare l'eletta schiera, è oggi una massa di oltre 170.000 persone. Vi era il problema dell'anacronismo del limite di competenza territoriale per il procuratore legale, assurdo in presenza dei nuovi mezzi di trasporto e comunicazione: ancora una volta il legislatore lo risolse con la massificazione, abolendo la professione ed equiparandola a quella di avvocato. Si potevano trovare soluzioni diverse che avrebbero portato ad una selezione di professionisti e di obiettivi professionali, anche nell'interesse dell'utenza chiamata ad orientarsi nella propria scelta del professionista più adatto al proprio caso, quali, ad esempio, quella di stabilire che il procuratore legale potesse difendere solo in primo grado: il numero dei professionisti non consentiva però più di togliere a Tizio o a Caio la possibilità di patrocinare in qualche causa iniziata. Si è arrivati così ad una popolazione forense in costante crescita, che si contende all'osso la lite più banale, magari facendosi pagare dal cliente in piccole rate.
O, ancora, vi sono molti che incassano solo le liquidazioni delle spese da parte delle compagnie di assicurazioni, dopo essersi moralmente prostituiti con i loro agenti per ottenere che gli indirizzino i clienti.
In questi casi la parcella minima che stiamo difendendo come dichiarazione di principio già non esiste più, è solo un paracadute nell'ipotesi in cui il cliente voglia «fare il furbo» e non pagare l'avvocato. Così come non esiste la dignità della toga, con avvocati negli uffici sinistri in fila ore con il numeretto in mano per poter parlare con il liquidatore di turno.
Dobbiamo avere il coraggio di renderci conto che il patto di quota lite, sino a ieri illegale, in realtà era una costante nelle cause assicurative.
Una massa di 170.000 persone, se sfilasse con le proprie famiglie a via Arenula, potrebbe far cadere qualsiasi governo e, quindi, trattare in posizione di forza.
Siamo però una massa disomogenea, nella quale la maggior parte di noi è ammalata di protagonismo e che, nonostante tutto, riesce a trarre dal proprio orticello il necessario per far vivere dignitosamente una famiglia.
Amiamo parlarci addosso, come si dice a Roma, ma non siamo né concreti né siamo stati capaci di crearci una rappresentanza politica che sia veramente sentita come tale: certo non lo è, purtroppo, l'OUA, che per molti avvocati è rimasta solo una sigla semisconosciuta. Vi è invero l'Unione delle Camere Penali, cioè l'associazione che raccoglie un numero ristretto di avvocati in prima linea che ha il coraggio di interloquire alla pari con i governi non solo su temi «di bottega», ma sulle grandi questioni relative al diritto di difesa: non a caso si tratta di una realtà esterna all'OUA e che, però, non ha il potere di trattare per una intera categoria che vede i penalisti in numero limitato. Se l'avvocatura avesse capito la lezione del congresso di Milano ed avesse avuto il coraggio di rinnovarsi da sola prima che lo facessero le forze ad essa ostili, Bersani non avrebbe avuto la possibilità di togliergli quel paracadute dato dai residui pezzi di un ordinamento professionale nel tempo svuotato degli ingranaggi fondamentali.
Ad oggi, realisticamente, la battaglia può essere vinta solo su quei punti del decreto liberticidi, quali il divieto di accettare contanti o l'inasprimento fiscale, sui quali la protesta della categoria non sembra invero essersi concentrata.

Di Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma

 
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