L'era romantica dell'investigatore da romanzo giallo è finita.
Sono
passati ormai
cinque anni dall'entrata
in vigore della
Legge 7/12/2000 n.397 in
materia di investigazioni
difensive, formulata per
garantire - almeno in teoria
- una maggiore parità tra
accusa e difesa, principalmente
nella fase delle indagini
preliminari quando
il castello accusatorio
prende forma.
In realtà l'utilizzazione degli
atti formati dal difensore
è ancora limitata, ed il
processo penale continua
ad avvertire il peso dello
strapotere della pubblica
accusa.
Ne parleremo con il Prof.
Sidoti, titolare dell'insegnamento
di Scienze dell'investigazione
presso
l'Università dell'Aquila.
Il futuro delle indagini
difensive si giocherà
nel campo dell'affinamento
delle tecniche
di investigazione. Ovviamente
gli avvocati
non possono e non devono
trasformarsi in poliziotti,
ma devono avvalersi
sempre di più di tecnici
qualificati, sia a livello peritale,
sia a livello di specialisti
nella sicurezza.
Dobbiamo considerare tramontata
l’era romantica
dell'investigatore da romanzo
giallo, che da solo
risolve il caso.
Ormai si lavora in team,
anche per disperdere meno
energie.
Periti balistici, grafologi,
medici legali, anatomopatologi,
possono formare un
gruppo di lavoro che non
ha nulla da invidiare alle
strutture delle forze dell’ordine.
In alcuni casi questo già
avviene, con ottimi risultati.
La differenza, come in
ogni processo, la fanno le
prove e la legge
consente ora di ricercarle
autonomamente
e di sottoporle
al giudice per ottenere
il suo convincimento.
Forse non esiste ancora il
“costume” giuridico per
considerare questi atti nel
loro giusto valore quali
fossero prove di serie B.
Al contrario, esistono semplicemente
indagini fatte
bene o fatte male, poiché
le tecniche di investigazione
corretta sono le stesse
sia per l'accusa
che per la difesa.
L’importante è non
perdere di vista il fine di
giustizia consistente nel diritto
al giusto processo -
quanti luoghi comuni su
questo - per chiunque.
Di Dario Costanzo
Avvocato del Foro di Roma