L'esame di abilitazione è un meccanismo complicato: è necessario ripartire dall'Università.
Da anni è sempre
così. Nel mese di
dicembre, ciclicamente,
nell'Avvocatura si
torna a dibattere sul nostro
esame di avvocato.
La nuova formula dell'esame
per l'abilitazione
professionale sembra non
avere prodotto i risultati
sperati ai quali si tendeva
al momento della modifica
ministeriale.
Nonostante la formula
dell'esame itinerante - che
il Ministero ha pure definito
"più rigoroso e severo”
- non ha fermato gli
aspiranti avvocati che sono
letteralmente raddoppiati
negli ultimi sei anni.
Infatti, le domande di
iscrizione alla sessione
2005 dell'esame forense
sono state, in tutto,
43252, quasi 10mila in
più rispetto al 2004, ed
addirittura il 70% in più
dei circa 28mila che si cimentarono
con lo "scritto"
nel 2001.
Insomma, un vero e proprio
"boom" per una professione
che continua ad
esercitare il suo fascino
millenario sui giovani,
nonostante le immense
difficoltà di accesso ed il
complicatissimo avviamento
lavorativo noto a
tutti.
Tuttavia, da più parti, è
risaltato, forte e vibrante,
il timore che questo exploit
rischia di far saltarel'equilibrio tra domanda e
offerta del mercato della
professione forense già
saturo, visti i già esistenti
150mila avvocati italiani.
Il che, statisticamente, significa
un legale ogni 300
abitanti. Il maggior numero
di domande di iscrizione
all'esame si è avuto
nelle cosiddette "sedi storiche"
- definite dal Decreto
Ministeriale quelle
del Gruppo E - ovvero
Roma, Milano, Napoli e
Bologna, che da sole
hanno raccolto più o meno
20mila iscritti.
Quasi un terzo della totalità.
La capitale è al primo
posto con 5.201 aspiranti
avvocati, la seconda
è Milano che ha ammesso
all'esame 4.800 giovani, a
seguire Napoli con 4.773
candidati, poi Bologna
con 2.652 e Firenze con
2.590.
In netta flessione, viceversa,
sedi storicamente
più affollate come Catanzaro
che, dopo tanti anni,
è scesa al di sotto delle
2.000 presenze collocandosi
al decimo posto dopo
città come Bari, Venezia,
Lecce e Torino (vedi
tabella).
Entrando nel merito della
riforma che è stata definita
"l'esame itinerante" -
numericamente la 180 del
2003 - è ormai al suo secondo
anno di rodaggio
ed ha mostrato già pregi e
difetti, anche se molti dicono
che non prevalgano
né gli uni né gli altri, e
che abbia lasciato sostanzialmente
tutto come prima.
Infatti, questa riforma se
da una parte ha contrastato
il fenomeno del turismo
forense - cioè la migrazione
verso sedi che
venivano presentate come
più favorevoli - dall'altra
ha innestato un complicato
meccanismo, che
non ha sempre funzionato
a dovere, prevedendo la
correzione degli elaborati
in un distretto diverso da
quello in cui sono stati
svolti. Questo anno, il
sorteggio ministeriale ha
collegato Milano con Roma,
Napoli con Bologna,
Catanzaro con Palermo,
Catania con L'Aquila, Torino
con Cagliari e Messina
con Reggio Calabria.
Vi sono poi addirittura
dei casi ove le sedi non
sono state incrociate, ma
"triangolate": ad esempio
Bari sarà corretto da Lecce,
mentre Lecce andrà a
Venezia e gli elaborati di
questa ultima saranno
corretti a Firenze.
Insomma, sembra un rebus
dalle mille complicazioni
che ha lasciato una
serie di nodi da sciogliere
tutt'altro che facili.
Per questo, tra le varie
componenti
dell'avvocatura
la tipologia di
questo esame
ha dato vita a
numerose critiche
e conseguenti
polemiche.
Il Consiglio
Nazionale
Forense ha criticato
duramente
le disparità
di trattamento
tra distretto
e distretto
di Corte
d'Appello,
chiedendo, lo
scorso ottobre,
al Governo un
intervento di
riforma organica
sull'esame
che valorizzi
di più la compiuta
pratica
ed imponga
criteri omogenei
di valutazione
dei candidati.
Autorevoli voci
associative
forensi hanno
lamentato che
è rimasto inso-
luto il problema più importante,
ovvero quello
dei grandi numeri che
mette fortemente in dubbio
la congruità delle valutazioni
falsando cronicamente
il mercato. Su un
punto, tuttavia, pare vi sia
l'accordo di tutti ed è
quello di migliorare un tirocinio
che sia un momento
effettivo di formazione
teorica e pratica e
calibrare, una volta per
tutte, un numero programmato
degli studenti
di giurisprudenza.
Insomma, una riforma definitiva
di accesso alla
nostra professione deve
necessariamente
partire
dall'Università
e non può
essere risolta con
una sola modifica
"in corsa" che,
come si è visto,
ha lasciato giustamente
insoddisfatti
gli avvocati
italiani.
Per questo è forte
la speranza e l'auspicio
che nasca
presto un tavolo
di confronto tra l'avvocatura
ed il Ministero dove
si possa formulare una
proposta di riforma dell'ordinamento
professionale
che, finalmente, tuteli
la categoria trovando
un punto di mediazione
che soddisfi da un lato
l'accesso dei giovani nel
mondo forense, ma che -
allo stesso tempo - preservi
dall'altro la qualità
della professione che ha
subito un forte squilibrio
a causa di numeri che
hanno evidentemente
"affollato" un mercato già
saturo.p>
Di Antonio Conte
Avvocato del foro di Roma
segretario consiglio
ordine avvocati di Roma