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Editoriali: Risorgimento Ideale
Posted by InGiustizia on Friday, July 20 @ 15:39:25 CEST
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Le scissioni di partito: egocentrismo o coerenza?

Che bisogno avevano Fabio Mussi e Francesco Storace di lasciare i partiti dei quali erano militanti storici per costituire uno la Sinistra Democratica e l’altro La Destra?
Il primo è Ministro, si muove in un’area già ampiamente popolata di movimenti che si richiamano alla tradizione comunista, con ampie possibilità di aggregazione con questi ultimi. Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, i Verdi sono tutti partiti rappresentati in Parlamento e, quindi, la scelta di Mussi di non seguire i DS nella loro avventura nel Partito Democratico non è in realtà un salto nel vuoto come quello di Storace, ma non è per ciò un passaggio facile. Vi sono uomini per i quali la sede del partito è stata il punto di riferimento della vita molto più della loro casa: per essi lasciare quel simbolo, separarsi da quei compagni di viaggio è come dividersi dalla propria vita.
Credo che il paragone con la separazione coniugale non sia calzante, considerato che per alcuni uominiil partito è molto di più della propria famiglia, in quanto, nella realtà quotidiana, è quest’ultima che si adegua alle esigenze della politica, sino a diventare militante anch’essa o ad accettare di ritagliarsi uno spazio che si rimpiccolisce o allarga in maniera inversamente proporzionale al successo del familiare attivista.
A differenza di Mussi, Storace è stato molto coraggioso, in quanto ha messo in gioco non solo i propri affetti e la propria vita passata, ma anche la possibilità di essere rieletto in Parlamento: le scissioni o le separazioni a destra di Alleanza Nazionale hanno sinora prodotto una galassia di movimenti con nulla o insignificante rappresentanza parlamentare ed analogo peso politico.
In più la gestione del partito da parte di Fini ha trasformato Alleanza Nazionale in un monolite nel quale la luce irradia solo il capo e gli altri, se non vogliono rimanere al buio, devono combattere perché egli gli conceda di stare lì ove vi può essere qualche riflesso.
In tale situazione può affermarsi che la scissione a destra sinora ha avuto rilievo mediatico più per il fatto che Fini ha ricevuto uno schiaffo che per le idee che Storace vuole affermare.
E qui vi è una convergenza tra Mussi e Storace: si parla di loro più perché disturbano il manovratore che per le loro idee, senza rendersi conto che le protagoniste sono le loro idee.
Tanto nella scelta diessina di costituire il Partito Democratico che nella svolta centrista ed antifascista di Fini vi è un desiderio di essere integrati nello schema che domina il mondo, ove gli affari sono prevalenti ed i partiti sono uno strumento per condizionare il potere economico senza assumere responsabilità imprenditoriali.
Nella visione lobbista tipica della politica americana i partiti sono il cuscinetto tra il potere reale (quello delle banche, delle multinazionali, delle grandi imprese editoriali, ecc.) e la gente comune, in tale sistema definita come consumatori, cioè clienti dei grandi fornitori di beni e servizi. Nei partiti le persone sfogano le loro pulsioni all’interno di un sistema sostanzialmente equilibrato, dove votando repubblicano o democratico si manifestano degli indirizzi, non si affermano delle idee.
Anche in Inghilterra vi è una forte tradizione bipolare, ma il sistema uninominale secco consente al territorio di far eleggere in Parlamento le persone che ben operano in quell’area: è quindi l’uomo, con la sua personalità ed il suo seguito popolare, che si aggrega in raggruppamenti più o meno omogenei e non il partito che condiziona il pensiero dell’uomo.
Prima del Risorgimento, in un’Italia nella quale si avvicendavano le dominazioni straniere, vigeva il detto popolare: «o Francia o Spagna, purché se magna». La spasmodica corsa al centro dei partiti altro non appare che la riproposizione in chiave moderna di quel detto, con la precisazione che gli eserciti sono sostituiti dai capitali delle aziende e banche multinazionali.
Vi è l’Europa, è vero, ma è un’Europa senz’anima, una semplice aggregazione territoriale che si preoccupa di far circolare merci liberamente purché siano il più possibile conformi ad un modello comune, priva di un esercito comune e di ogni riferimento a radici comuni.
In questo sistema chi ha delle idee guida, dei principi morali ai quali fare riferimento, viene giudicato come un idealista, con utilizzo del termine in senso deteriore, cioè come se si trattasse di una persona perbene, ma avulsa dalla realtà.
Forse è vero, un idealista è estraneo alla realtà dominante, ma non per questo è un perdente o un cretino, ma solo una persona che ha valori diversi dall’utile immediato o dal massimo profitto economico: vi è gente che all’immagine di Paperone che nuota tra le monete d’oro del suo deposito preferisce quella di suo figlio che gioca con altri bambini su una spiaggia popolare, divertendosi nella costruzio- ne di castelli di sabbia.
Fini sarà sicuramente felice se l’aver rinnegato il passato, tagliando con esso anche l’ultimo ponte costituito da una moglie che non ha voluto essere ciò che non è, lo porterà alla presidenza del consiglio, così come, probabilmente, sarà infelice se fallirà nel suo scopo.
Storace, come Mussi, sono felici oggi, per essere stati se stessi, ed aver consentito a tante persone di continuare a pensare che non andare al centro non è un delitto, ma solo evitare luoghi troppo affollati dove si potrebbe stare male anche solo a causa della calca.
L’Italia calcistica campione del mondo insegna che sono le ali a portare una squadra alla vittoria, ma stiamo parlando di politica e, quindi, il paragone è con il Risorgimento, dove pochi furono, all’inizio, a volere un’Italia unita: alla fine ne bastarono Mille, con tanto coraggio ed un grande ideale.
Pensare il 2007 come l’anno del Risorgimento ideale e non del fallimento degli idealisti è pensare positivo: e si pensa positivo grazie agli idealisti, non agli opportunisti.

Di Romolo Reboa

 
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