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Famiglia: Educazione alla legalita'
Posted by InGiustizia on Monday, November 26 @ 17:51:12 CET
Articolo Download periodico

Autorevolezza e non autoritarismo: i ragazzi hanno bisogno di "segnali".



In un due recente incontri di studio, patrocinati dai Comuni di Napoli e di Gela ho sviluppato il questo “tema”, conscio che la materia trattata, da sola, sarebbe stata sufficiente per sostenere un Convegno nazionale, data la vastità del fenomeno affrontato.
Il titolo richiama, infatti, i due capisaldi “sociologici” che da sempre hanno costituito i veri e propri “confini” entro i quali è cresciuta, a volte con successo, a volte meno, la “consapevolezza civile” del “fanciullo” ad essere prima l’adolescente e poi l’uomo, e la donna, del domani.
Allo stesso modo è evidente che le modifiche della società occidentale in genere, e della nostra in via specifica, sono la causa prima di un totale mutamento degli equilibri di quelli che sono fattori interni, sia della “famiglia” che della “scuola”.
Questa affermazione non è fatta per evitare analisi più profonde, ma è, e rimane un dato di partenza, un dato certo.
Il problema, nella realtà, è “come intervenire”, poste le oggettive evoluzioni che hanno interessato i “caposaldi”, per continuare a far sì che quanto oggi possano offrire, comunque, la famiglia e la scuola consenta al “fanciullo” di diventare “un elemento positivamente attivo nella società” un domani.
Credo che come dato di partenza si possa condividere che, il compito primo della famiglia e della scuola, sia quello “filosofico” di dare al “minore” gli strumenti per operare delle scelte, per potersi impegnare nella “propria” attività, per potersi (lui) realizzare.
Senza, viceversa, restare vittima né dei sogni e delle proiezioni genitoriali, né dei messaggi contraddittori, che possono pervenirgli dal primo confronto con lo Stato, così come si può definire il suo “percorso” nel mondo della scuola.
Storicamente il compito della famiglia è stato quello più denso di significati, sia per le implicazioni di tempo, (posto che l’attività scolastica si svolge per un arco di tempo ridotto rispetto al “tempo di casa”) sia per le implicazioni connesse alla emulazione affettivo-familiare, che si sviluppano inconsciamente in ogni ragazzo/a. Ma come è noto a tutti, per l’evidenza sociologica che ha il fenomeno, la famiglia è oggi una entità che spesso si sfalda nella sua costituzione “casalinga”, mercè le separazioni dei coniugi, e non è in grado di recuperare il ruolo genitoriale dopo la seprazione, tant’è che il fenomeno della ablazione della figura di un genitore, è un portato della separazione contro il quale, ancora, non si riesce ad intervenire con efficacia.
Ecco che a questo quadro familiare, dovrebbe contrapporsi, almeno, una rinnovata capacità, da parte della scuola, a riempire quei vuoti o quelle mancanze che hanno origine nella famiglia.
Ma questo, a prescindere dalle oggettive difficoltà della scuola, è un compito a cui la scuola, come tale isolata da altre forme di sostegno, non può attendere perché esula dal suo “effettivo” potere.
E’ evidente pertanto la necessità di intervenire con la “formazione” sia, per quanto possibile, sulla cellula familiare, sia sul mondo della scuola, integrando ed interagendo, sempre di più, il flusso delle informazioni necessarie a confrontarsi con il mondo dei minori, che sono lì che aspettano “SEGNALI” pronti a seguirli NEL BENE E NEL MALE.
Com’è noto, le dinamiche oppositive tra i genitori, frutto di un non risolto conflitto “personalissimo” (accettabilità della immagine di sé) sono la causa prima della perdita per i minori di quei riferimenti “interni” che sono le figure di mamma e di papà.
Per altro verso la “fragilità” personale dei genitori comporta la difficoltà estremamente diffusa di poter comunicare “un disagio” vissuto dal figlio.
La prima reazione è quella di chiudersi a riccio, e di negare “comunque” della esistenza stessa del problema.
Ecco dunque che il mondo della scuola trova il suo primo ostacolo.
Come dire, come farsi sentire e farsi comprendere nel “comunicare” l’evidenza.
V’è da notare che quando il disagio viene manifestato, pensare di segnalarlo o di stigmatizzarlo, per poi osservare una “modifica” dei comportamenti patogeni, è semplicemente “ingenuo”.
Quando i comportamenti, che hanno fonte in un disagio familiare, si sono manifestati, vuol dire che la causa di questi è presente nella relazione genitoriale, per modificare la quale si dovrà attendere o il “miracolo” di un percorso di Mediazione Familiare, o la diversa soluzione dell’abbandono di uno dei due contendenti dal campo del conflitto, per essersi coinvolto in “altra storia relazionale”, con effetti sì deflativi della tensione sul minore, ma con i diversi corollari dell’abbandono e della perdita, per il piccolo, di una delle due sue figure, insostituibili, di riferimento.
Elemento principe dell’intervento della scuola potrebbe dunque essere quello di “organizzare” partendo, proprio dai soggetti che subiscono tali “mancanze”, dai ragazzi percorsi di “autostima”, che mettano al centro la figura di chi, e non per sua colpa, si sente e subisce l’essere marginalizzato, proprio da mamma e da papà.
La Scuola nella sua essenza viene (deve essere) letta dal “fanciullo” come entità forte, terza estranea alle dinamiche della famiglia, e può restare fonte di “regole comportamentali”.
Proprio di quelle delle quali si sente più il bisogno, e che il “conflitto intrafamiliare” ha reso inesistenti.
Certamente, il livello di comunicazione delle regole al “fanciullo” non può essere quello impositivo (paterno per usare una figura storica dell’essere famiglia) ma deve percorrere altre strade.
Autorevolezza e non autoritarismo, esempio e non imposizione, disponibilità all’ascolto e non paritetica condivisione di problemi.
Questa è la via per sviluppare la quale è certamente necessario raccogliere i suggerimenti di chi, sul campo ogni giorno, si trova ad affrontare quell’autentica emergenza che è il dissolversi sempre di più dell’interazione tra la Famiglia e la Scuola.
Solo così si potrà operare anche sul confine tra scuola e famiglia nel “Superiore interesse del Minore” tanto caro al nostro legislatore.

Di Giorgio Vaccaro

 
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