Negli anni ’90 la spesa per la giustizia è aumentata del 140% e i magistrati sono aumentati del 15%.
Idati del Consiglio
d’Europa sulla spesa
pubblica, pubblicati in
un libro verde redatto dal
ministero del Tesoro italiano,
smentiscono tante
chiacchiere che da anni si
fanno sui pochi mezzi che
sarebbero destinati alla
giustizia dallo Stato italiano.
E pongono, inevitabilmente,
il problema dei
“giudici fannulloni” o di
una “filiera” giudiziaria
che ha troppe anse e troppi
blocchi. Costosissimi. Infatti,
secondo il Consiglio
d’Europa, la spesa pubblica
destinata alla giustizia
in Italia ''non è affatto bassa"
rispetto agli altri paesi
europei, tuttavia il nostro
Paese arranca in termini di
lunghezza dei processi,
trascinati per anni. Servono
582 giorni per un divorzio,
696 giorni per un
licenziamento, 1.210 per
concludere un procedimento
relativo ad un inadempimento
contrattuale:
in tutti e tre gli esempi l'Italia
conquista il primo
posto delle lungaggini nel
confronto con gli altri Paesi
occidentali.
Nel Libro Verde del Tesoro
sulla spesa pubblica italiana
si sottolinea come
proprio la giustizia sia stata
nello scorso decennio
"una delle voci in maggior
crescita del bilancio dello
Stato". Negli anni '90 ''essa
è infatti aumentata del
140% e i magistrati in servizio
sono aumentati del
15%". All'aumento di risorse
umane ed economiche
destinate al settore, si
legge ancora, "non è però
corrisposto un adeguato
miglioramento dei risultati".
Gli esempi parlano da soli:
"il numero dei procedimenti
pendenti, civili e penali,
non è affatto diminuito.
Negli ultimi 20 anni lo
stock di cause civili arretrate
si è pressoché triplicato
e nel 1999, tra primo
e secondo grado, superava
i 3 milioni e mezzo di procedimenti",
mentre i procedimenti
penali pendenti
in primo grado "sono più
che raddoppiati". Non solo
"dal 1975 al 2004 la durata
delle cause civili è aumentata
del 90%".
Se i dati sono allarmanti,
sono addirittura preoccupanti
le soluzioni prospettate
dal ministro Padoa-
Schioppa. Il ministro le ha
proposte presentando il Libro
verde a inizio settembre.
In tre punti, infatti,
Padoa-Schioppa propone
questa ricetta: avviare il
federalismo fiscale, applicare
l'intesa sulla produttività
e il merito nel pubblico
impiego, rendere strutturale
la capacità di spendere
meglio dei ministeri.
Meno male che il ministro
si è affrettato a sottolineare
che questo non è “un
piano d’azione”, ma vuol
essere soltanto un contributo”
a un dibattito che è
di là da venire e che evidentemente
il
governo prodi
non vuole
neanche sfiorare.
Se infatti secondo
e terzo
punto – miglioramento
delle spese
dei ministeri
e applicazione
della meritocrazia–
escono direttamente
dal
“libro dei sogni” e sono
praticamente irrealizzabili,
il primo punto, quello sul
federalismo fiscale, garantirebbe
il caos dei tribunali
gravando ancora nuove
spese e tasse sui cittadini
delle diverse Regioni.
Insomma, restano i dati,
resta il fatto che il Libro
verde ci mette al 15 posto
in Europa per la “qualità
della spesa” (solo la Grecia
fa peggio), e resta un
governo senza capacità di
decidere nulla che possa
servire a “sbloccare” una
situazione della Giustizia
che in Italia si è fatta pesantissima.
Di Maria Serra