Con una sentenza
passata quasi “in
sordina” (la n.
42637/2007), la Suprema
Corte di Cassazione si è
pronunciata sui limiti del
sequestro preventivo
Con una sentenza
passata quasi “in
sordina” (la n.
42637/2007), la Suprema
Corte di Cassazione si è
pronunciata sui limiti del
sequestro preventivo (art.
231 c.p.p.) in relazione a
quote societarie appartenenti
ad una persona non
indagata e, quindi, secondo
le deduzioni dei
ricorrenti, estranea ai fatti
di reato.
Ed invero, il Supremo
Collegio ha sostanzialmente
deciso che, essendo
oggetto del sequestro
preventivo “qualsiasi bene,
a chiunque appartenente”,
è da ritenersi legittimo
il sequestro effettuato
sui beni (o su quote)
di una persona estranea
al reato, a condizione
comunque che il bene sequestrato
sia “anche indirettamente
collegato al
reato e, ove lasciato in
libera disponibilità, sia
idoneo a costituire pericolo
di aggravamento o
di protrazione delle conseguenze
del reato stesso
ovvero di agevolazione
della commissione di ulteriori
fatti penalmente
rilevanti” .
Pertanto, parafrasando il
ragionamento effettuato
dalla Cassazione, dovrà
considerarsi rilevante, ai
fini del sequestro, non
tanto la titolarità del bene
sequestrato quanto la
sua gestione, la quale,
qualora risulti illecita,
può giustificare l’applicazione
della misura cautelare
di cui all’art. 231
c.p.p. .
La Corte ha inoltre ritenuto
che un sequestro
preventivo così adottato
possa considerarsi idoneo
anche ad impedire la
commissione di ulteriori
reati dal momento che
priverebbe i soci dell’esercizio
dei diritti relativi
alle cose sequestrate (in
tal senso anche Cass.
pen. n. 21810/04).
La sentenza in esame,
pur ponendosi in linea
con altre pronunce che
ammettevano la possibilità
di effettuare il sequestro
anche su beni appartenenti
non indagate purchè
si trattasse comunque
di “cose pertinenti al
reato” (Cass. pen.
4496/99), conferma comunque
l’indecisione su
questo tema, stante il
contrario orientamento
della stessa Corte
che, invece,
sembrerebbe
ammettere il
sequestro
preventivo
solo in relazione
a beni appartenenti
alla persona indagata
(su tutte, Cass. pen.
15445/04).
Non sorprende, quindi, la
possibilità che la questione
relativa all’applicabilità
del sequestro preventivo
anche alla persona
non indagata (come sancito
nella sentenza in
commento) possa investire
le Sezioni Unite della
Suprema Corte.
Ma la sentenza n.
42637/07 assume particolare
pregio non solo
per gli aspetti sopra evidenziati,
ma anche per le
precisazioni offerte in relazione
all’individuazione
del tempus commissi
delicti
dell’art. 316 ter c.p. (indebita percezione
di erogazioni a
danno dello Stato).
La Corte ha difatti chiarito
che l’espressione utilizzata
dal legislatore all’art.
316 ter c.p. “consegue
indebitamente” debba
leggersi come “percepisce
indebitamente” ossia
riscuote materialmente,
con la naturale conseguenza
che il reato punito
dall’art. 316 ter c.p.
potrà dirsi consumato solo
qualora, dopo l’erogazione
del contributo,
questo entri materialmente
nel patrimonio del destinatario,
“essendo quello
il momento in cui si
produce il danno per
l’ente pubblico
erogatore”.
Di particolare interesse
appare infine l’ultima
parte della sentenza laddove,
incidentalmente, la
Corte di Cassazione sottolinea,
in adesione all’orientamento
fatto proprio
delle Sezioni Unite
(41936/05), che il sequestro
preventivo, funzionale
alla confisca, può
avere ad oggetto beni per
un valore equivalente
non solo al prezzo ma
anche al profitto, in
quanto l’art. 640 quater
c.p. (relativo alla contestazione
agli imputanti
anche del truffa ex art.
640 bis c.p.) richiama
l’intero art. 322 ter c.p.
che espressamente contempla
sia i beni che costituiscono
il prezzo del
reato sia quelli che ne
rappresentano il profitto.
Di Francesco Salamone