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Editoriali: L’assistenzialismo della giustizia
Posted by InGiustizia on Friday, October 03 @ 15:49:07 CEST
Editoriali Download periodico

Finchè la Giustizia resterà un carrozzone inefficiente, la professione forense continuerà a "proletarizzarsi".



La tutela degli interessi popolari nella libertà fu lo scopo per cui questa testata venne fondata nell’ormai lontano 1975. Dopo oltre vent’anni ci rendemmo conto con dispiacere che il territorio non era politicamente più identificabile con il luogo ove si giocava la partita fondamentale, che si era spostata su terreni diversi, tra i quali quello della giustizia.
La PAROLA al POPOLO diede così vita al progetto InGIUSTIZIA. Ciò in quanto il dibattito sulla giustizia è stato sempre presente nell’agenda politica degli ultimi anni e non solo per il fatto che il leader italiano di maggior successo si chiama Silvio Berlusconi il quale, tra i propri records, annovera anche quello di essere l’Italiano che ha subito più processi, ma perché si tratta di un ingranaggio sicuramente non funzionante all’interno di quella complessa macchina che si chiama pubblica amministrazione.
In più di un’occasione ho parlato del perverso fenomeno della proletarizzazione dell’avvocatura quale causa del degrado della professione forense. Tale fenomeno è stato anche concausa di un altro, la proliferazione e conseguente proletarizzazione dei servizi ausiliari di giustizia, quali CTU, perizie ed altri incarichi, dalle curatele fallimentari alle custodie giudiziarie per arrivare sino alle difese d’ufficio ed ai gratuiti patrocini.
Si è così creato un fenomeno del tutto particolare: la macchina della giustizia non riesce ad erogare i servizi per i quali è stata progettata ed esiste, cioè le sentenze in tempo utile per essere sussidiaria al funzionamento di uno stato moderno e democratico, ma al contempo svolge la funzione sociale di erogare denaro attraverso la remunerazione di migliaia di incarichi giudiziari e di produrlo indirettamente per coloro che, a tutela degli interessi privati, svolgono non solo la difesa, ma consulenze tecniche e servizi di vario tipo.
In sintesi i disservizi costituiscono una forma di assistenzialismo diretto ed indiretto da parte dello stato, il quale raggiunge anche lo scopo di ridurre le statistiche dei disoccupati attraverso l’iscrizione tra gli utilizzatori di partite IVA di persone il cui reddito annuo risulterà inferiore a quello di una segretaria.
Poiché la statistica è la scienza secondo la quale, se si analizzano due persone, una che mangia un pollo al giorno ed una che digiuna, si può affermare che il campione analizzato vive bene perché mangia mediamente mezzo pollo al giorno, tale modus operandi del settore giustizia ha come conseguenza che i politici affermino che i relativi liberi professionisti hanno un reddito fiscale troppo basso e sono quindi degli evasori cronici.
Di fronte ad un malattia cronica i governi sia di centro destra che di centro sinistra sono stati capaci solo di andare avanti a colpi di dichiarazioni spot e di riforme e controriforme all’interno di una lotta tra Magistratura e politica il cui scopo non è il funzionamento della giustizia, ma quale delle due categoria debba essere la reale detentrice del potere.
Viceversa i problemi, quelli veri, non vengono affrontati seriamente. Prendiamo, ad esempio, il problema del sovraffollamento carcerario. La sinistra ha pensato di risolverlo con l’indulto, fatto che ha svuotato nell’immediatezza tante celle, salvo poi, a distanza di due anni, vederle riempite nuovamente con la maggior parte dei soggetti scarcerati, i quali hanno approfittato della libertà generosamente concessa per commettere nuovi reati, ingolfando così anche i giudici di nuovo lavoro.
Il PDL pensa al braccialetto elettronico, ma non dice che esito ha avuto la sperimentazione sui quattrocento condannati che lo stanno già portando, mentre la Lega, riprendendo la politica dell’ex ministro Castelli, pensa che sia opportuno costruire nuove prigioni.
Nessuno, però, si sofferma su due aspetti fondamentali del problema: il primo è che il sistema carcerario è totalmente carente per ciò che riguarda la funzione del recupero del detenuto e, quindi, specie per ciò che riguarda determinati tipi di reati, la prigione è in realtà una scuola di specializzazione del crimine, che potrebbe essere smantellata solo ove si obbligassero i suoi frequentatori a svolgere attività lavorativa incompatibile fisicamente con la possibilità di dedicarsi a questo particolare studio e psicologicamente con la idea di ritornare in carcere.
Il secondo è che la vita in carcere, per molti immigrati clandestini, è molto migliore di quella che avevano nel loro paese di origine, ove non possedevano certamente un tetto coperto, un letto solo per sé, servizi igienici e vitto assicurato. In tale contesto parlare di braccialetti elettronici senza affrontare i problemi sociali a monte dell’affollamento carcerario significa solo aprire la strada ad un nuovo business, quello delle forniture dei braccialetti e dello studio dei sistemi software per aprirli e richiuderli senza farsi scoprire.
Nuove forme di lavoro, a conferma della funzione assistenzialista della macchina giudiziaria. Se, poi, si passa alla giustizia civile, ci si rende conto che ogni volta che il legislatore ha tentato di risolvere i problemi intervenendo sulle procedure ha fallito perché il problema non è il rito del lavoro o il rito societario o il sistema delle preclusioni, ma quello del numero delle cause e del fatto che i termini sono perentori solo per le parti e mai per i giudici.
Che significato ha dire che il giudice si deve pronunciare su ricorso per decreto ingiuntivo entro 30 gg quando tale termine non è perentorio e si afferma che il numero dei ricorsi è tale che è umanamente impossibile rispettarlo?
In Inghilterra la giustizia è celere e funziona perché i processi costano cari: ma ciò significherebbe la fine del carrozzone assistenzialista e di tanta demagogia populista. In Italia non si farà.

Romolo Reboa

 
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