I reati di falso ideologico del privato in atto pubblico e di falso ideologico in atto pubblico per indizione
Una delle questioni
che hanno interessato
le Sezioni Unite
Penali nel corso degli ultimi
mesi è stata quella decisa
con la sentenza n.
35488/2007. Ed invero, in
tale occasione, il Supremo
Collegio, dirimendo un contrasto
decennale fra le Sezioni
semplici della stessa Corte,
ha stabilito quale sia esattamente
il rapporto fra i reati
di falsità ideologica commessa
dal privato in atto
pubblico (art. 483 c.p.p) e
quello di falsità ideologica
per induzione (art. 48 e 479
c.p.). Più precisamente, come
si legge dall’ordinanza di
remissione alle Sezioni Unite,
il contrasto giurisprudenziale
ha avuto ad oggetto sia
il tema dell’ammissibilità di
un concorso fra il reato di cui
all'art. 483 c.p. e quello di
falso ideologico per induzione,
sia quello della definizione
degli esatti termini per la
configurazione di questo secondo
reato, pure in presenza
(o meno) del primo. Da
un lato, difatti, si sono registrate
diverse pronunce sulla
base delle quali la falsità
ideologica del privato sembrerebbe
non poter concorrere
con il delitto di falso per
induzione in errore del pubblico
ufficiale, quando l'atto
pubblico da questi sia adottato
a seguito della presentazione
dell'atto falso del privato.
Alla base di tale impostazione
vi sarebbe infatti
l’assunto secondo il quale
l’atto pubblico posto in essere
dal pubblico ufficiale non
sarebbe inteso ad accertare
"il fatto" oggetto della attestazione
falsa del privato ma,
più semplicemente, l'esistenza
dell'"atto" del privato in
cui, questi, ha trasfuso l'attestazione
di un certo fatto
(Sez. 5, 19 maggio 2003, n.
22021, Carbini; 20 giugno
2006, n. 21209, Bartolazzi).
In altri termini, il soggetto
pubblico, dovendo solo ed
esclusivamente ricevere l’atto
del privato ed accertare
l’esistenza dello stesso, non
porrebbe in essere alcuna
falsità ideologica nell’ipotesi
in cui l’atto del privato, pur
esistendo, risulti essere in
verità menzognero. L’atto
del pubblico ufficiale attesterebbe
infatti solo l’esistenza
dell’atto del privato ma non
anche la veridicità del suo
contenuto. Conseguentemente
non si potrebbe ravvisare
alcuna falsità ideologica
nell’atto posto in essere dal
pubblico ufficiale in presenza
di un atto del privato effettivamente
esistente. Dall’altro
lato, le Sezioni Unite,
nel 1995, hanno invece ammesso
la possibilità di un
concorso fra i predetti reati.
Secondo le motivazioni condivise
anche dalla sentenza
delle Sezioni Unite del 2007,
infatti, l’l'atto pubblico, nel
quale sia richiamato altro atto
ideologicamente falso, sarebbe
anch'esso falso, in quanto
certifica l'esistenza di attestazioni
presumendole "vere",
con la conseguenza che se,
invece, le attestazioni richiamate
sono false, sarebbe falso
pure l'atto pubblico che le pone
a premessa. In altre parole,
il pubblico ufficiale, diversamente
rispetto alla tesi precedentemente
esposta, non si limiterebbe
ad “attestare l’attestazione
del privato”, fungendo
da mero ricettore dell’atto,
ma compierebbe, sia pure implicitamente,
un’attestazione
falsa circa la sussistenza effettiva
di quei presupposti indefettibili,
posti a premessa
del provvedimento della pubblica
amministrazione. Ovvero:
il provvedimento adottato
dal pubblico ufficiale sarebbe
ideologicamente falso in
quanto adottato sulla base di
un presupposto che in realtà
non esiste. Di tale secondo
falso, realizzatosi in forza di
una sorta di “reazione a catena”,
non risponderà comunque
il pubblico ufficiale, perchè
in buona fede essendo
stato tratto in inganno dal privato,
bensì, ai sensi dell’art.
48 c.p., il soggetto che lo ha
ingannato. Ed è proprio aderendo
a tale impostazione che
le Sezioni Unite hanno ribadito
che il principio secondo
il quale il delitto di falsa attestazione
del privato (di cui all'art.
483 c.p.) può concorrere
- quando la falsa dichiarazione
del mentitore sia prevista
di per sè come reato - con
quello della falsità per induzione
in errore del pubblico
ufficiale nella redazione dell'atto
al quale l'attestazione
inerisca (di cui agli artt. 48 e
479 c.p.), semprechè la dichiarazione
non veridica del
privato concerna fatti dei
quali l'atto del pubblico ufficiale
è destinato a provare la
verità. Conseguentemente, il
privato che produca alla Pubblica
Amministrazione un atto
di notorietà contenente dati
non rispondenti al vero e tale
atto sia posto a fondamento
di un successivo provvedimento
posto in essere dalla
P.A., il privato dichiarante
potrà rispondere sia del reato
di cui all’art. 483 che di
quello di cui agli artt. 48 e
479 c.p.
Francesco Salomone