La responsabilità della struttura ospedaliera
La Suprema Corte di
Cassazione, a Sezioni
Unite, con la recente
sentenza 11 gennaio 2008, n.
577, ha dato una concreta soluzione
e conferma ad una
questione molto dibattuta in
ambito giuridico. Si è occupata,
infatti, della responsabilità
della struttura sanitaria
e del medico nei confronti
del paziente, ai fini del riparto
dell’onere probatorio. Si
tratta di una responsabilità
che assume una forte rilevanza
in quanto relativa a violazioni
incidenti sul bene della
salute, tutelato e riconosciuto
pienamente dalla Costituzione
come diritto fondamentale.
Per questo motivo, è irrilevante
che si tratti di una casa
di cura privata o di un
ospedale pubblico, poiché gli
obblighi assunti da entrambe
le strutture nei confronti del
paziente sono perfettamente
equivalenti, non sussistendo,
dunque, limitazioni relative
alla responsabilità o differenze
risarcitorie a seconda della
loro natura. Ciò posto, è
assolutamente necessario
qualificare i rapporti giuridici
intercorrenti tra la casa di
cura e l’utente fruitore e tra
questo e medico. Con riguardo
al primo aspetto, occorre
chiarire che il paziente che
viene “accettato” in una
struttura, per essere ricoverato
o comunque sottoposto a
visita ambulatoriale al fine di
ottenere assistenza sanitariaospedaliera,
contrae a tutti gli
effetti un contratto di prestazione
d’opera atipico cosiddetto
di spedalità. Il rapporto
che si instaura non si esaurisce,
infatti, nelle prestazioni
di cure mediche e chirurgiche,
ma si estende anche alla
messa a disposizione di personale
medico ausiliario, paramedico,
di medicinali, di
tutte le attrezzature necessarie,
nonché di tutti i rapporti
tipicamente alberghieri di
adeguato vitto e alloggio. Sul
punto la Suprema Corte si è
pronunciata mantenendo una
linea piuttosto costante, qualificando
la responsabilità
dell’ente ospedaliero come
contrattuale, sulla base dell’accettazione
del paziente
all’interno della struttura.
(Cass. Civ., sez. III, 13 aprile
2007, n. 8826; Cass. Civ, sez.
III, 14 luglio 2004, n.
13066). Quanto al rapporto
medico-paziente, si configura
una responsabilità di natura
contrattuale, che trova la
sua ragion d’essere nel rapporto
obbligatorio cosiddetto
“contratto sociale” qualificato
intercorrente tra gli stessi.
Giova ricordare che per molti
anni la responsabilità della
struttura era legata alla condotta
colposa del medico
operante presso la stessa.Solo
di recente la giurisprudenza
ha mutato orientamento
considerando i due rapporti,
ospedale-paziente e paziente-
medico, in modo indipendente.
Pertanto, al contratto
di spedalità, considerato come
un autonomo e atipico
contratto a prestazioni corrispettive,
si applicano le ordinarie
norme sull’inadempimento
ex art. 1128 c.c.
Per quanto concerne, invece,
il rapporto dell’ente con il
medico, in relazione alle obbligazioni
svolte dallo stesso
all’interno della struttura, è
opportuno abbandonare il richiamo
alla disciplina del
contratto d’opera professionale,
considerando tale legame
sulla base dell’art. 1228
c.c., secondo cui il debitore
che nell’adempimento dell’obbligazione
si avvale dell’opera
di terzi risponde anche
dei fatti dolosi o colposi
di costoro, anche se non sono
alle sue dipendenze. In base
a tale ultimo assunto, l’ente
sarà responsabile anche nei
casi in cui il medico non è subordinato
della struttura, purchè
operi all’interno della
stessa. La sentenza che si annota,
inquadrando la responsabilità
dell’ospedale e del
medico come contrattuale, risolve
il problema dell’onere
della prova già affrontato
dalle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione in termini
più generali con sentenza
n. 13533/2001. Sul punto, le
Sezioni Unite hanno enunciato
il principio secondo cui
il creditore (paziente danneggiato)
deve provare la fonte
negoziale del suo diritto,
l’aggravamento della sua patologia
o l’insorgenza di
un’affezione, nonchè l’inadempimento
colposo del medico
che ha provocato il danno.
Sarà, invece il debitore
convenuto gravato dell’onere
di provare il corretto adempimento
della propria opera.
Tecla Cosentino