La responsabilità penale dell'addetto stampa
In un’epoca come la nostra, nella quale prolifera
sempre di più il ricorso a professionisti, i cd. “addetti stampa”, chiamati quotidianamente a
curare le pubbliche relazioni di svariate categorie
di personaggi pubblici, appare non privo di interesse l’esame degli eventuali profili di responsabilità penale cui potrebbe incorrere
l’ “addetto stampa” che divulghi, per conto del
soggetto “pubblico” per il quale lavora, notizie dal
sicuro contenuto diffamatorio.
In altri termini, la domanda alla quale qui si cercherà di dare una risposta è la seguente:
l’addetto stampa c h e r e n d a note, per conto di un terzo, notizie dal contenuto diffamatorio
può ritenersi, per tale ragione, esente da responsabilità penale?
Ebbene, a tale quesito, sembrerebbe, ad avviso
dello Scrivente, non potersi dare che una risposta negativa, nel senso che - qualora l’addetto stampa divulghi notizie dal contenuto diffamatorio seppur su mandato di terzi - deve considerarsi comunque
penalmente responsabile del reato di diffamazione.
Tale delitto, punito dall’art. 595 c.p., prevede la
pena detentiva (alternativa a quella pecuniaria) a carico di colui il quale, fuori dai casi di ingiuria, offenda l’altrui reputazione comunicando con più
persone. A fondamento di tale conclusione
militano sostanzialmente due argomentazioni.
La prima, di carattere generale, attiene al principio
della personalità della responsabilità penale sancito
dall’art. 27 della Costituzione.
La seconda, più pregnante, riguarda, invece, l’impossibilità di applicare al caso de quo la scriminante dell’adempimento del dovere ex art. 51 c.p. .
A tal fine, infatti, è necessario che il dovere di cui si
invocherebbe l’adempimento sia imposto o da
“una norma giuridica” o da “un ordine legittimo
della Pubblica Autorità”, presupposti questi ultimi
assolutamente inesistenti nell’ipotesi in esame.
Non si rinviene, infatti, all’interno del nostro ordinamento alcuna norma giuridica che imponga il
dovere di diffondere notiziediffamatorie per conto
del proprio datore di lavoro.
Del pari, insostenibile è la tesi della riconducibilità
all’interno del concetto di “pubblica Autorità” di personaggi dotati semplicemente di “pubblica
notorietà”.
Ad ogni modo, a conferma delle tesi appena sostenute, pare deporre anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione pronunziatasi sul tema in esame. Secondo le valutazioni del Supremo Collegio difatti: “Il responsabile
dell'ufficio stampa assume la paternità e la responsabilità del comunicato che viene reso di pubblico dominio e risponde pertanto di diffamazione a mezzo stampa” (Cass. pen., Sez. V, 12/02/1999, n. 3705, in Cass. Pen., 2001, 1469). Ne discende, in conclusione, che l’addetto
stampa che divulghi, per conto di terzi, notizie
dal contenuto diffamatorio potrà ritenersi responsabile del reato di diffamazione di cui all’art. 595 c.p. .
Francesco Salamone
Cultore di Diritto dell'Economia presso l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia