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Diritto: Un'innovazione processuale
Posted by InGiustizia on Thursday, June 11 @ 19:11:26 CEST
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L'introduzione del patteggiamento contabile

Si tratta di un’innovazione processuale, introdotta dalla legge n. 266 del 2005 (finanziaria 2006), art. 1 comma 231, 232, 233, che, viste le problematiche ravvisate, è utile esaminare. In dettaglio il legislatore ha previsto che “con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al dieci per cento e non superiore al venti per cento del danno quantificato nella sentenza” (comma 231); “la sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al trenta per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento” (comma 232); “il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento pressola segreteria della sezione di appello” (comma 233). L’istituto in questione presenta degli aspetti complessi, connessi all’interpretazione letterale della normativa, che di seguito verranno brevemente analizzati. In primo luogo, appare evidente la transitorietà della disposizione, in quanto applicabile esclusivamente ai fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge sopra citata. Da quanto si evince dal dettato letterale della norma la richiesta del beneficio può essere avanzata solo dai “soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna”. Di conseguenza sembrerebbe che la decisione del giudice dovesse essere in realtà limitata alla verifica dei presupposti di ammissibilità previsti dalla legge: 1) l’esistenza di una condanna in primo grado pronunciata per fatti commessi prima del 31 dicembre 2005; 2) l’inesistenza di un giudicato ex art. 324 c.p.c.; 3) la pendenza di un giudizio d’impugnazione.
Riscontrati tali requisiti, dunque, il giudice non avrebbe potuto in definitiva negare il beneficio dell’appello e avrebbe dovuto solo esercitare la propria discrezionalità nel quantum dei limiti previsti dal legislatore (dal 10% al 30%)”. In realtà, la giurisprudenza della Corte dei Conti ha ritenuto che il giudice di appello potesse effettuare una valutazione ulteriore, che si fondasse sulla considerazione effettiva dei comportamenti posti in essere dalle parti, caratterizzati da dolo o da illecito arricchimento, alla presenza dei quali avrebbe potuto respingere l’istanza. Sulla base di tali premesse, il giudice stabilirà una percentuale che dovrà essere conforme non all’importo della condanna, ma a quello del danno stabilito nella sentenza di primo grado, non superiore in ogni caso al 30% di quanto in essa quantificato. Sul punto si è pronunciata la Corte dei Conti sostenendo che “Il parametro cui rapportare la percentuale - tra il 10% e il 30% - per la definizione agevolata ed abbreviata del processo di appello ai sensi dell'art. 1 commi da 231° a 233° L. 23 dicembre 2005 n. 266 è quello della somma corrispondente al danno accertato nella sentenza "a quo", tale dovendo intendersi la somma effettivamente addebitata all'appellante, dedotte quindi la compensazione dei danni con i vantaggi e l'eventuale riduzione operate in prime cure” (Corte dei Conti. Sez. A2, 30 maggio 2006, n. 11). L’interpretazione restrittiva della normativa ha origine dall’ordinanza n. 40 de 28.06.2006 della Sezione d’appello della Corte dei conti per la Regione Sicilia, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dei suddetti commi dell’art. 1 legge n. 266 del 2005, in relazione agli art. 3, 97, 101 e 103 della Costituzione. Si trattava, infatti, di un “sistema” caratterizzato, dall’assenza di una qualsiasi ratio normativa che non sia quella della limitazione patrimoniale del risarcimento per sé stessa; da un “effetto premiale ingiustificato contrastante con i “principi del buon andamento e del controllo contabile; dall’ affidamento al giudice contabile di un potere discrezionale illimitato nella concreta determinazione della misura del risarcimento.

Tecla Cosentino

 
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