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Diritto: Novità legislative e giurisprudenziali
Posted by InGiustizia on Thursday, June 11 @ 19:37:35 CEST
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Il reato di stalking

“Stalking” è ormai una parola inglese tanto sinistra quanto famosa, che deriva dal verbo “to stalk” che sta per «inseguire furtivamente», mentre il correlato sostantivo “stalk” si rende con perifrasi quali «avvicinarsi furtivamente», o «fare la posta alla preda». Tutti termini presi dal linguaggio gergale venatorio della Vecchia Inghilterra; tuttavia lo stesso verbo “to stalk” ha ormai acquisito, nella stessa lingua d’oltremanica, l’ulteriore e più moderno significato di «molestare, perseguitare, ossessionare», tanto che “stalking” è diventato successivamente un vero e proprio neologismo giuridico nel diritto dei Paesi di “common-law”. E proprio dagli U.S.A. e dal Regno Unito abbiamo – seppur tardivamente – importato il concetto - ancor prima che giuridico, sociologico - di “stalking”, per introdurlo recentemente nel nostro ordinamento come reato all’art. 612bis del Codice Penale intitolandolo «atti persecutori» con il Decreto Legge 23 febbraio 2009 n. 11, convertito con la Legge 23 aprile 2009 n. 38. Di questo nuovo crimine si è parlato ad un convegno organizzato dalla Associazione forense “Ius ac Bonum” presieduta dall’Avv. Arianna Agnese, tenutosi il 25 maggio scorso presso la Sala Conferenze della Corte di Appello civile di Roma e intitolato “Reati di stalking– violenza sessuale – maltrattamenti e omicidio. Novità legislative e giurisprudenziali”. All’incontro che ha visto come relatori Alfredo Montagna, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione e Margherita Marmo, consigliere presso la III Sezione della Suprema Corte oltre a vari interventi programmati fra cui quelli – vivamente apprezzati- di Piero De Crescenzo, Consigliere della Corte di Assise di Appello di Roma e di Giovanni Puliatti, Consigliere del Tribunale di Grosseto; è intervenuto anche il Presidente della Corte d’Appello di Roma, Giorgio Santacroce, il quale si è detto ormai “stalkizzato” dal molesto numero di inviti ricevuti a convegni e seminari incentrati proprio sullo “stalking”. Anche nell’incontro sopra citato molto spazio è stato dedicato al reato di recente conio, e subito ribattezzato di “stalking”, il quale ha ad oggetto «condotte reiterate» di minaccia e molestia, che determinano nella persona offesa un «perdurante stato di ansia o paura» ovvero ingenerano nella stessa un «fondato timore» per la propria incolumità o per quella di un prossimo congiunto o di altra persona alla stessa legata da un vincolo affettivo, o ancora la costringono «ad alterare le proprie abitudini di vita». Di sanzionare penalmente lo “stalking” pare ci fosse un gran bisogno, solo leggendo i dati I.S.T.A.T. del 2007, secondo i quali solo in Italia nel 2006 sarebbero state ben due milioni e 77mila le donne che avrebbero subito comportamenti persecutori, al momento della separazione dal partner o dopo essere state lasciate. Inoltre più della metà delle donne vittime di violenza fisica o sessuale da parte di un partner precedente sarebbe stata precedentemente oggetto di “stalking”, dato che deve evidentemente ancor più riflettere. Eppure, nonostante i numerosi commenti favorevoli non sono mancate anche le critiche: la norma mancherebbe di «sufficiente tipizzazione» ha osservato l’attuale Presidente dell’Unione delle Camere Penali, Oreste Dominioni. Troppo generica ed ancorata a dati molto soggettivi, se non intimi, e destinata a essere interpretata in modo affatto diverso: auspicabile - secondo il leader dei penalisti italiani -una formulazione più attenta che «individui caratteristiche specifiche dei comportamenti persecutori». E’ pur vero che la criminologia di “comportamenti persecutori” ne ha individuato parecchi, anzi forse anche un po’ troppi: dalle comunicazioni intrusive reiterate ed assillanti in primis, ai comportamenti a queste associati. Il campionario è vario, inquietante a volte persino grottesco: per quanto concerne le comunicazioni andiamo dalle telefonate assillanti (mute, aggressive ma anche “coprolaliche”), la posta disturbante (bigliettini, lettere, fax, messaggi lasciati sulla porta ecc.), e ancora l’invio continuativo e diuturno di doni e fiori, per poi arrivare al c.d. “cyber-stalking” (le molestie perpetrate attraverso Internet con mezzi quali la posta elettronica e le chat). L’elenco dei comportamenti associati è ancora più lungo e articolato, persino sorprendente. Citiamo, a mero titolo esemplificativo, atti quali: bucare le gomme, far trovare animali vivi o morti – o carcasse di animali morti in luoghi cari alla vittima, annullare o richiedere beni e servizi per conto della vittima (ad esempio automobili,ma anche servizi funebri o disdettare contratti di utenze telefoniche, luce, carte di credito…), mettere in rete immagini sessuali della vittima, oltre – ovviamente – ai più “classici” atti vandalici contro l’abitazione o l’autovettura o il luogo di lavoro della vittima, alle minacce di violenza, alla violenza fisica medesima, alla violazione di domicilio, e così via… Come ha scritto un apprezzato commentatore va tenuto presente che «rinchiudere una realtà criminologica così vasta e complessa (…) in formule di maggior dettaglio, ma anche più rigide, avrebbe rischiato di renderla inefficace…». Non a caso nelle normative straniere anti-stalking che ci hanno preceduto - e che da cui abbiamo tratto ispirazione - ritroviamo formule simili, se non addirittura ancora più generali o generiche. Tra le varie la normativa più ammirata - e copiata in questa materia rimane quella di Sua Maestà britannica: il “Protection from Harrassment Act” emanato nel 1997, legge che recita, semplicemente, all’art. 1 che «una persona non deve attuare una condotta che costituisce una molestia per un’altra o che egli sa o dovrebbe sapere che costituisce molestia per un’altra». La normativa inglese configura inoltre un’ipotesi di “pre” responsabilità civile, con la possibilità per la vittima di chiedere al Tribunale un c.d. “restraining order” o “injunction”, ovvero un provvedimento preventivo con il quale si diffida lo “stalker” dal proseguire nelle molestie persecutorie, che se violato, configura il reato nella sua forma più grave e con sanzioni più severe. Meccanismo evidentemente riproposto nella nostra legislazione con una procedura di ammonimento da parte del Questore, vera e propria misura preventiva. Purtroppo, in Italia le sanzioni penali non sono state affiancate da sanzioni interdittive o civili, né da trattamenti medico-psicologici. Nel reato di cui parliamo in fin dei conti anche lo “stalker” è vittima della sua stessa ossessione (desidera, spesso, ottenere l’attenzione o riconquistare l’amore della sua vittima). La criminologia ci informa che solo una percentuale residuale di “stalkers” sono affetti da veri e propri disturbi mentali, ma è ragionevole sostenere che quasi tutti abbiano problemi relazionalipsicologici, e dunque un adeguamento trattamento in tal senso potrebbe rivelarsi più efficace della galera per contenere il fenomeno. Certo, come si legge in una delle prime pronunce giurisprudenziali di merito in materia (citiamo l’ordinanza del 6 aprile 2009 n. 347 del Tribunale del riesame di Bari) non dobbiamo dimenticare come la persona offesa di questo odioso reato viva in uno «stato di continua paura per se… [stesso] e da doversi continuamente “guardare alle spalle” così modificando le proprie abitudini di vita».
Dall’entrata in vigore dell’art. 612bis C.p. il 25 febbraio scorso, il primo arresto per “stalking” balzato alle cronache risalirebbe al 2 marzo scorso, a Milano. Non è chiaro chi detenga questo triste record: un milanese reo di aver fatto bere del tè condito con interiora di topo morto alla sua ex, o uno straniero accusato di aver molestato e minacciato insistentemente l’ex convivente. Da allora un crescendo “rossiniano”: lo “stalking” diventa un reato a tutto campo: si segnalano casi in tutta la Penisola e la celebre matrimonialista Bernardini De Pace dichiara a proposito che lo “stalking” è diventato trendy. Se un reato diventa di moda pare saggio – anzi doveroso preoccuparsi, e sorge il legittimo sospetto che possa travalicare ben presto i suoi confini normativi e diventare pericolosamente onnicomprensivo.

Rodolfo Capozzi
Avvocato del Foro di Roma

 
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