Esecuzione penale, questa sconosciuta...

Negletta nei corsi universitari di procedura penale, snobbata da molti avvocati (che guardano di traverso e con malcelata sufficienza i colleghi che, come suol dirsi, “fanno carcerario”), e comunque misconosciuta anche a tutti gli operatori della giustizia tutti (tranne i cancellieri, spesso vere e proprie enciclopedie del diritto viventi), l’esecuzione penale è invece materia assai importante e complessa (i suoi pochi estimatori la considerano persino una sorta di “quarto grado di giudizio”). L’ A.N.F. capitolina, presieduta dall’Avv. Mario Scialla, ha ben pensato di dedicarle un corso di formazione ed aggiornamento, che è stato presentato lo scorso 8 giugno in sala conferenze alla Corte di Appello civile, alla presenza del Presidente Giorgio Santacroce, e che si articolerà in più incontri fino al termine del mese di giugno. Mattatore degli incontri è stato l’Avv. Giannantonio Minghelli, decano dei penalisti romani ed indiscusso esperto dei temi di cui al X libro del Codice di procedura penale (quello dedicato appunto all’esecuzione), che ha condito i suoi interventi con la consueta simpatia e allegria romanesca. Tra i correlatori anche Nicola Maiorano, Pubblico Ministero romano (la figura del P.M., che si affianca al Giudice dell’esecuzione ed alla magistratura di sorveglianza, è centrale in questa materia: suo l’onere di emettere il temuto ordine di esecuzione – in gergo “o.e.”- quando deve essere eseguita una sentenza di condanna di pena detentiva), e la Dr.ssa Maria Claudia Di Paolo, del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (il D.A.P. – tra le varie - si occupa dell’esecuzione delle misure cautelari in carcere, delle pene e delle misure di sicurezza detentive oltre che delle misure alternative alla detenzione, e gestisce gli istituti penitenziari) la quale ha gettato una luce sulle tante e delicate problematiche penitenziarie a Roma (e non solo nella Capitale). Numerosi, da un punto di vista tecnico- giuridico, i temi e i problemi connessi trattati nel corso. Dal ruolo del difensore nella fase esecutiva (con l’aporia che si registra fra quanto prevede il V comma dell’art. 655 C.p.p. e quanto disposto dal V comma dell’art. 656 C.p.p., dato che nel primo si contempla il difensore nominato dall’interessato o quello d’ufficio e nel secondo compare il difensore nominato per la fase dell’esecuzione e, in difetto, colui che lo ha assistito nella fase del giudizio), con il risultato che è bene preoccuparsi per tempo di avere una nomina ad hoc da parte dell’assistito per questa delicata fase, alle dinamiche del già citato “o.e.”, atto propulsivo dell’esecuzione – appunto – delle pene. Si è poi trattato del computo del c.d. “presofferto”, ovvero l’eventualità che il condannato abbia già espiato periodi di custodia cautelare o espiato pene per cui siano intervenuti provvedimenti di clemenza quali amnistia o indulto: in tali casi occorre calcolare la pena effettivamente da espiare; tematica a cui si ricollega il c.d. principio di “fungibilità” della pena (con il divieto, riconducibile al IV comma dell’art. 657 C.p.p. , di procacciarsi una sorta di “credito penale”, ovvero di poter computare le pene espiate e la custodia cautelare subita prima della commissione del reato per cui occorre determinare la pena da eseguire). L’elenco potrebbe continuare, passando dal cumulo delle pene concorrenti (quello “materiale”, quello “giuridico”, per non parlare di quelli definiti da Minghelli “non riapribili” od “esauriti”), fino ad arrivare al delicatissimo capitolo della regolare notificazione del titolo esecutivo, specie se trattasi di imputato contumace od irreperibile. Il corso ha offerto una vasta e variegata panoramica su una materia giuridicamente complessa e di grande momento sociale, dato che si tratta - in termini tangibili e concreti –non solo della libertà personale dell’individuo ma anche – in ultima analisi - della sicurezza collettiva. Non a caso Minghelli ha rivolto un accorato appello ai difensori d’ufficio (e non) invitandoli a prestare maggiore attenzione a questa delicata materia. Giova ripetere (specie a se stessi) che il penalista deve essere anche buon esperto di esecuzione penale, e quindi sempre e comunque un po’ “avvocato carcerario”, senza vergognarsene. Infatti i legali che assistono i detenuti e i ristretti a vario titolo svolgono un ruolo di mediazione sociale fuori e dentro il carcere, e sovente diventano un punto di riferimento significativo per il detenuto. E allora viva gli avvocati che “fanno carcerario”: danno il loro modesto ma significativo contributo per far sì che il Mondo prossimo venturo non diventi né una caserma “orwelliana”, né quello immaginato da Anthony Burgess e filmato da Stanley Kubrick in “Arancia Meccanica” …vi pare poco?

Rodolfo Capozzi
Avvocato del Foro di Roma