Volare alto
Con l’avvicinarsi delle
vacanze estive
sono spuntate come
i funghi dopo un’acquazzone
le cene o serate notturne
di saluto tra gli avvocati,
sponsorizzate o dal
Consiglio dell’Ordine con
i soldi di tutti gli iscritti o
da alcuni dinamici colleghi
con i soldi propri e/o dei
partecipanti alle cene.
Iniziative gradevolissime,
alcune ottimamente organizzate,
che però non nascono
dal desiderio degli
organizzatori di incontrarsi
con selezionati amici per
condividere un momento
della vita o confrontarsi su
temi culturali, ma per esigenze
elettorali forensi.
Infatti i colleghi sponsor
delle serate sono per lo più
consiglieri dell’Ordine che
a Gennaio si ricandideranno
per il rinnovo del Consiglio
e questo è l’argomento
principe di cui si
parla tra i tavoli, condito
da gossip più o meno pepati
sui colleghi.
Alle cene della lista che fa
capo a Tizio interviene
Caio, formalmente per
portare il proprio saluto
(ma Tizio e Caio non si
erano presi a male parole
nell’ultima seduta consiliare?). In realtà Caio è intervenuto
per accertarsi di persona
quanta gente Tizio sia
riuscito a far venire e se, per
caso, ci siano Mevio e Sempronio,
che gli hanno promesso
il voto e giurato amicizia,
ma dei quali non si fida
assolutamente.
In particolare Caio non si fida
di Sempronio, che fa l’amico
di tutti e partecipa a tutte
le serate, ignorando (o fingendo
di ignorare) che, così,
nessuno dei bigs lo prende in
considerazione: è il solito
Italiano amicone che ama
mangiare e scherzare, non il
soldato fedele alla causa.
Già, la causa, ma qual è? In
primo luogo il problema dei
giovani, del quale ad ogni
cena si ode un cenno dal microfono
dell’oratore di turno:
i giovani colleghi non hanno
lavoro, non debbono essere
sfruttati, sono tanti e, quindi,
con loro bisogna usare delle
tecniche elettorali diverse, anche
perché sono demotivati.
Bel discorso, lo so a memoria,
è da trent’anni che lo
ascolto, da quando ero giovane
anch’io e partecipavo a
questo tipo di riunioni nella
speranza di fare conoscenze
utili per il mio futuro.
Oggi mi diverto, mi sembra
di essere una persona nata in
provincia che ritorna di tanto
in tanto nel paese natio e risente
i discorsi della propria
giovinezza, come se il tempo
si fosse fermato: solo che,
per lui, quelli sono momenti
di tenerezza, rivede il sorriso
della mamma e delle proprie
maestre, ritorna per un attimo
ad essere il bambino
spensierato che fu.
Il mio sentimento è viceversa
amaro, probabilmente di superba
ironia, stile Nanni Moretti:
ancora le stesse parole,
malgrado il tempo che passa,
ma fortunatamente io sono a
tavola e posso commentare
ironico con il mio occasionale
vicino di desco, perché, se
avessi dovuto prendere il microfono,
forse non avrei potuto
fare a meno di dire le
stesse cose, dato che questo è
il copione.
Forse è vero, certi copioni rimangono
inalterati nel tempo,
basta vedere le scritte
elettorali degli antichi Romani
rinvenute a Pompei per
rendersene conto: ma ciò non
toglie che i candidati forensi
abbiano il vizio di parlarsi
addosso e di ritenere che il
mondo reale siano le beghe
consiliari o i micro privilegi
della carica e che essi si sentano
superiori perché hanno
ricevuto tanti voti.
In sintesi volare basso è pagante
e, allora, perché rischiare
di volare alto?
Perché confrontarsi su temi
nuovi, difficili, quando per
ottenere qualche centinaio di
voti basta organizzare una serata
in discoteca, invitando
migliaia di laureati in realtà
disoccupati i quali, incapaci
di costruire con le proprie
forse uno studio professionale,
ingenuamente sperano che
il generoso e maturo collega
offra loro un’opportunità?
Il motivo è semplice, nessuno
ha il coraggio di dire loro che
la causa del degrado della
professione trova origine anche
nell’atteggiamento dei
leaders forensi, nel parlarsi
addosso per decine di anni
senza essere capaci di prendere
posizioni nuove, probabilmente
rivoluzionarie per
chi fa dell’immobilismo il
proprio punto di forza.
Qualche esempio?
I consiglieri attuali sono
scandalizzati perché qualcuno
osa mettere in dubbio la
legittimità dell’utilizzo dei
locali di Palazzaccio anche
quale sede dell’Ordine degli
Avvocati: la prima pagina di
questo numero è dedicata a
tale problema e l’intervento
di chi scrive con la classe politica,
unito a quello di altri
autorevoli colleghi, forse riuscirà
a risolverlo in sede legislativa.
Ma qualcuno si è domandato
se l’ubicazione della sede
dell’Ordine Romano interessa
veramente ai suoi oltre
ventimila iscritti? Personalmente
ritengo che l’acquisizione
di una palazzina in
Prati, utilizzando i residui attivi
esistenti ad hoc nel bilancio
dell’ente, potrebbe dare
maggior prestigio alla categoria
e benefici ai suoi
iscritti, i quali potrebbero ivi
vedere organizzati dei servizi
utili a rendere meno disagevole
la professione.
In Cassazione è difficile parcheggiare,
i locali hanno poca
luce ed i telefonini non
hanno campo, ma la possibilità
di utilizzare una sede così
antica inorgoglisce i quindici consiglieri che hanno ottenuto il permesso di parcheggio
al suo interno ed usufruiscono
della collaborazione del
personale dell’ordine…
Non è giusto che i giovani facciano
le file all’ufficio notifiche
o agli uffici dove si iscrivono
le cause a ruolo: ne parlano
nelle cene, invece di organizzare
una adeguata struttura
di servizi che, con un costo
remunerativo, ma onesto,
risolva il problema.
E’ possibile, lo hanno fatto a
Milano.
Gli avvocati potrebbero cambiare
l’urbanistica della città,
convincendo il Comune di
Roma a costruire subparcheggi
a servizio degli utenti giudiziari
a via Lepanto e a p.le
Clodio, ma i candidati consiglieri
dell’Ordine non sembrano
nemmeno avere le palle
per denunciare che, nel nuovo
parcheggio all’interno della
caserma di via Lepanto, le auto
degli avvocati non potranno
entrare (o, almeno, di quelli
che si tengono lontani dalle
cariche forensi…).
Volare alto è faticoso, provoca
inimicizie e consensi non immediati:
meglio volare basso
ed invitare tutti a mangiare,
ballare e fare qualche
gossip…
Romolo Reboa
Avvocato del Foro di Roma