La meritocrazia del consenso
Il Censis segnala che nel
2006 gli avvocati erano
158.000, contro 183.044
ingegneri ed addirittura
377.726 medici. Se il trend
fosse confermato negli ultimi
due anni, gli avvocati sarebbero
meno degli ingegneri
e meno della
metà dei medici.
Ogni anno entrano
nel mercato della
professione più di
10.000 nuovi avvocati.
Nel periodo
2001-2005 si è registrato
un tasso di
crescita pari a
+29,3%, con effetti
negativi sulle prospettive
di lavoro,
considerando anche
la concorrenza di altri
operatori del diritto:
agenzie immobiliari,
patronati,
sindacati, commercialisti,
notai, consulenti
del lavoro,
associazioni dei
consumatori, amministratori
di condominio,
periti di
infortunistica, agenti vari ed
altri soggetti non meglio qualificati.
Attualmente, il numero
degli Avvocati è salito in
Italia a circa 220.000, di cui
iscritti all’albo dell’Ordine di
Roma circa 22.000: una
semplice somma senza alcun
potere, neppure quello
di poter contare nel dibattito
sulla giustizia.
La responsabilità di questi
numeri ci impone iniziative
coraggiose. Da molto tempo
si rinnova l’appello di trovare
un comune denominatore in
forme di grande aggregazione
per mettere in moto masse
enormi di popolo forense.
sultato”, considerato il
(mal)funzionamento della
“Amministrazione della Giustizia.
Moltiplicare gli appelli,
le denunce dei disagi e delle
carenze è sicuramente utile
quanto opportuno, ma il primo
obiettivo deve essere
quello di unirci e di riunire
non per omologare l’autonomia
del singolo professionista,
le diversità e le individualità
collettive che ognuno legittimamente
rappresenta, ma
per accrescere il peso e la forza
dei nostri valori, che l’Avvocatura
rinnova nel tempo
con inflessibile determinazione.
Quando, insieme alle
proposte, alle iniziative dei
singoli e dei gruppi figurerà
una numerosa presenza fisica
di avvocati, allora si potrà
tentare di porre fine all’inarrestabile
fallimento del sistema
giustizia, cambierà l’acustica
delle buone intenzioni,
delle cure generiche e l’avvocatura
conterà per quello
che vale e che può dare alla
soluzione dei problemi con
una partecipazione attiva e
convinta. Tutti abbiamo conoscenza
che il nostro paese
soffre il peso di due grandi
impedimenti alla crescita e
allo sviluppo: il debito pubblico
e i 10 milioni di processi
pendenti, con 20 milioni
di cittadini in attesa di una
risposta dalla Giustizia. Bisogna
prendere coscienza
che nelle società democratiche,
pluraliste, parlamentari
non sono sufficienti le buone
idee, la prospettazione di soluzioni
intelligenti, ma è necessario
avere una categoria
compatta e sviluppare il consenso,
accrescere le adesioni,
per porre fine alla notte della
giustizia e portare gli avvocati
oltre l’orizzonte. Solo
coloro che sapranno conquistare
il consenso degli avvocati,
potranno legittimamente
rappresentarli.
Esiste un DNA tardivo dell’avvocato
che si forma dopo
la nascita, quando si diventa
gente di tribunale, quando si
subisce il fascino di questa
professione millenaria.
Molti ripetono che occorre
abbattere gli steccati, le futili
differenze, le inutili contrapposizioni,
e bisogna ammettere
che, nonostante il lodevole
impegno delle nostre associazioni,
dei singoli colleghi, impegnati
sul fronte della “Giustizia”,
la nostra forza non
c’é. Paradossalmente
siamo
numerosi ed il
nostro peso
specifico è quasi
pari a zero.
Per questo,
senza voler apparire
originale,
ho dato impulso,
insieme
ad alcune autorevoli
associazioni
e ad alcuni
consistenti
gruppi di colleghi,
alla nascente
costituzione
della Federazione
Avvocati
Italiani
(F.A.I.), per
cassare dal dialogo
dei professionisti
del diritto
i verbi delegare,
rinunciare, aspettare,
sperare. Giovani e meno giovani
sanno che siamo tra le
poche categorie che operano
in regime di diseconomia
“massimo sforzo minimo risultato”, considerato il
(mal)funzionamento della
“Amministrazione della Giustizia.
Moltiplicare gli appelli,
le denunce dei disagi e delle
carenze è sicuramente utile
quanto opportuno, ma il primo
obiettivo deve essere
quello di unirci e di riunire
non per omologare l’autonomia
del singolo professionista,
le diversità e le individualità
collettive che ognuno legittimamente
rappresenta, ma
per accrescere il peso e la forza
dei nostri valori, che l’Avvocatura
rinnova nel tempo
con inflessibile determinazione.
Quando, insieme alle
proposte, alle iniziative dei
singoli e dei gruppi figurerà
una numerosa presenza fisica
di avvocati, allora si potrà
tentare di porre fine all’inarrestabile
fallimento del sistema
giustizia, cambierà l’acustica
delle buone intenzioni,
delle cure generiche e l’avvocatura
conterà per quello
che vale e che può dare alla
soluzione dei problemi con
una partecipazione attiva e
convinta. Tutti abbiamo conoscenza
che il nostro paese
soffre il peso di due grandi
impedimenti alla crescita e
allo sviluppo: il debito pubblico
e i 10 milioni di processi
pendenti, con 20 milioni
di cittadini in attesa di una
risposta dalla Giustizia. Bisogna
prendere coscienza
che nelle società democratiche,
pluraliste, parlamentari
non sono sufficienti le buone
idee, la prospettazione di soluzioni
intelligenti, ma è necessario
avere una categoria
compatta e sviluppare il consenso,
accrescere le adesioni,
per porre fine alla notte della
giustizia e portare gli avvocati
oltre l’orizzonte. Solo
coloro che sapranno conquistare
il consenso degli avvocati,
potranno legittimamente
rappresentarli.
Carlo Priolo
Avvocato del Foro di Roma