Plautus
L’ironia e la satira pungente di Aristofane non conosce declino. La storia di Ploutus, dio umanizzato, accecato da bambino da Zeus, per non
permettergli di distinguere gli onesti e lasciare al caso la distribuzione della ricchezza, è
quanto mai vicina alla cecità contemporanea. Povero e derelitto, ridotto ad una vita randagia, Plautus incontra un uomo ed il suo servo che lo
aiuteranno a ritrovare la vista e la capacità di rendere tutti più ricchi. L’illusione di essere
finalmente inserito a pieno tiolo nella società, di poter essere amato dura poco. La miseria in carne ed ossa lo viene a minacciare: se tutti saranno ricchi non lavorerà più nessuno. Persino Ermes e
Zeus scenderanno dall’Olimpo a cercarlo, rimproverandogli di non aver più uomini
che offrano doni e libagioni,perché la soddisfazione dei bisogni ha reso mute le invocazioni.
I rapporti fra uomini sono dettati dalla continua ricerca di mettere a tacere un desiderio, rivolgendosi anche agli dei per esaudirlo.
Un’umanità ripiegata su se stessa, incapace di guardare oltre il proprio ombelico, senza un
progetto comune, senza uno straccio di orizzonte sociale. La stessa umanità che lascia morire in mare poveri cristi in cerca di sopravvivenza,
che scavalca il cadavere di un morto ammazzato in pieno giorno, che non riesce a garantire un’assistenza sanitaria pubblica in un Paese che si
erge a baluardo della democrazia, che lascia morire sul lavoro una media di quattro
persone al giorno. Vedere e saper distinguere è difficile e impone scelte, anche dolorose.
L’alternativa è il buio che confonde tutto.
Clotilde Spadafora