Il processo: medium della tutela giurisdizionale dei diritti
Per agire o resistere in giudizio occorre avervi
interesse, così l’art. 100 c.p.c..
Non potendosi ritenere che l’interesse ad agire ricomprenda anche l’abuso del processo; il requisito dell’interesse conduce direttamente
alle situazioni giuridiche soggettive sostanziali;
ma non nella loro astratta individualità, piuttosto
nella loro struttura intersoggettiva; in breve l’ottica
si focalizza sul rapporto giuridico che si può definire: “la relazione tra due soggetti regolata dal diritto” (Torrente: Manuale §5 - Giuffrè 2004).
Il processo dunque è il medium per la tutela giurisdizionale dei diritti (artt. 24 Cost., 2907 c.c., 99 c.p.c.) il che ci conduce a collegare il processo alla situazione giuridica soggettiva lesa e quindi al rapporto leso; poiché infatti il processo si introduce bensì a domanda, ma è regolato dal principio contraddittorio (artt. 111 Cost., 101 e 105
c.p.c.). La teoria classica dell’atto giurisdizionale
quale “ripristino” dell’ordinamento, non avrebbe altrimenti senso se questo si risolvesse in mero fatto di punizione. In conclusione pare legittimo concludere che il conflitto è l’aspetto patologico del rapporto; e che il processo è dunque il mezzo di risoluzione dal conflitto.
Ma l’esperienza ci mostra come il conflitto in realtà
si risolva, e legittimamente; non solo efficacemente
anche con media diversi dal processo. Anche dal
punto di visto lessicale balza evidente le differenza
tra processo ed ADR; il primo è autoreferente le
seconde pongono in evidenza in modo diretto la
“disputa” e cioè il conflitto.
Non intendiamo in questa sede approfondire il tema
del monopolio statale della giurisdizione. (Satta:
“la giurisdizione non presuppone affatto la legislazione" Commentario Vallardi 1959 Vol. 1, pag. 18 - N. Picardi Extrastatualità della giurisdizione, studi in memoria di A. Attardi); ci
basta affermare che il sistema di ADR, con il suo
riferirsi nel merito: all’arbitraggio ed alla perizia
contrattuale ed alla transazione; è un medium alternativo (ma non nel senso dei ristoranti post 68) o se volete “diverso” (ma non nel senso ermafrodito d’attualità); il cui esito positivo
vale a risolvere il conflitto.
Con il mezzo semplificato del giusto processo
necessario di cui serve Piero Sandulli.
Ovviamente questo confligge con la teoria ripristinatoria dell’atto giurisidizionale,
ma questa sembra comunque contraddetta in
radice dalla transazione, che presuppone le reciproche concessioni e quindi dà per presupposto che l’esito non sia mai “ripristinatorio dell’ordinamento”; ma solo riequilibra tori di
interessi giuridici e metagiuridici.
La risoluzione del conflitto porta comunque
alla pace sociale; valore massimo della convivenza
civile; e vedremo come tale effetto dipenda proprio dalla tipologia del conflitto (questa funzione
del metodo ADR è sottolineato in particolar modo
dal Cappelletti)..
Diversa poi la funzione del conflitto nell’ambito del
processo da quella nel sistema ADR. Nel processo il conflitto, per la correlazione alla domanda
ed al rapporto giuridico, determina infatti la
competenza; il contenuto della tutela, identifica la tipologia del rito; determina anche l’antropologia del giudicante e soprattutto i limiti della sua potestà e del suo modus operandi; il
limite della domanda, il divieto di anticipare il giudizio ecc….
Il processo civile, in quanto rito; astrae dal conflitto
quale fatto personale e sociale lo assume per ricondurlo alla legittimità; che poi Pasquale sia uomo debole ed inesperto non rileva più di tanto. Pasquale sarà obbligato all’atto o al risarcimento, ma Pasquale sarà però sempre convinto, e parzialmente a ragione, di aver subito un “ingiustizia” e non solo dalla controparte,
ma quel che è peggio dell’ordinamento.
Il metodo ADR invece, fermo il principio del giusto
procedimento, tenta di realizzare non il giusto
processo, ma il processo giusto. E qui è la radice del conflitto tra i due media: il sistema ADR inquina il modello positivista; sovranità, fonti-giurisdizione;
sia inserendo quote di equità, valorizzando i motivi
altrimenti estranei aldecidere; sia consentendo
soluzioni innovative, compensazioni irrituali, ecc.
Traspare evidente a questo punto che il conflitto, - an et quantum - assunto come dato “anche” meta-giuridico; può anzi deve, per ottimizzare la tutela, essere riguardato in relazione ai configgenti.
Un modello unico di procedimento comporterebbe
infatti un processo di astrazione del conflitto come
avvenimento; rendendolo inefficiente ed anelastico;
riproponendo le strettoie del processo.
I rapporti giuridici coprono invece tutto lo spettro
dell’ordinamento dai diritti assoluti, alla filiazione alla famiglia alla responsabilità aquiliana, ai rapporti civili e commerciali, alle nugae.
Ed ancora l’apprezzamento della lite da parte del
tecnico del diritto, nel suo tentativo di obbiettivizzazione o nelle sua esperienza, non coincidono con l’apprezzamento marcatamente
emotivo del congliggente, e questo varia anche tra soggetti coinvolti da conflitti omogenei.
È nota la sindrome da risarcimento; è dato d’esperienza la frase: “Avvocato è una questione di principio”; specola di quanto diciamo sono le liti condominiali.
Vi sono dunque conflitti non conciliabili a ragione
del loro inpingere in interessi pubblici; ma tutti gli
altri richiedono “riti” e tecniche suasive diverse.
In alcuni casi avrà aggio un lungo approccio separato, in altri la fantasia propositiva di un terzo proponente.
Residuano poi conflitti minimali, al limite
stesso del concreto danno e dell’interesse alla tutela.
In questi casi la tutela diventa un fatto di etica collettiva; non può consentirsi infatti ad una delle parti di locupletare giocando sui “grandi numeri” di microdanni.
È questa l’area delle class action, se e quando
ne avremo una efficiente; e della conciliazione cosiddetta negoziale; che opera tra soggetti collettori di interessi. L’approfondimento di tali articolazioni è lo scopo di questo convegno.
Ponendo il conflitto al centro del sistema delle tutele
si attengono poi due conseguenze ulteriori. Ci supera, infatti lo schema originario, che nato per soddisfare le esigenze dell’economia nel quale i configgenti sono in grado di effettuare il calcolo economico della lite; specie internazionale; e si estende il medium ad ogni possibile conflitto. Dal conflitto nasce poi il criterio di identificazione
della terzietà dei soggetti amministratori del
sistema ADR che oggi appare frazionato e sotto il
profilo di terzietà non limpido.
La filosofia di questa modesta relazione si può
sintetizzare nell’ecogla IV° di Virgilio: “non omnes
invant arbusta umilesqae myiricae; si caninus
silvas silvae; sint consule digne”; il suo fine riportare la risoluzione del conflitto vicino ai configgenti. Per dirla in termini giuridici; l’ottica del conflitto fa emergere una nuova categoria
ordinante; quella delle tutele, nell’ambito delle
quali, la Giurisdizione Pubblica Statale è solo una
delle opzioni, accanto all’arbitrato, al sistema ADR; che l’ordinamento pone a disposizione del
cittadino per la pax piuttosto che per la legittimità.
Avv. Roberto Zazza
* PRESIDENTE FORUM
DELLE PROFESSIONI