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Diritto: I reati di opinione: un ritorno alla barbarie dei sistemi totalitari
Posted by Reboa on Thursday, December 17 @ 19:48:43 CET
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In difesa della falce e martello e del fascio littorio

I simboli possono essere definiti come insieme di forme visibili che mirano a mostrare cose invisibili, cose che ne rappresentano altre con le quali risulti un collegamento.
Varsavia, 28 novembre scorso: in Polonia è stato approvato dal senato un progetto di legge avente ad oggetto la modifica dell’art. 256 codice penale sull’incitamento all’odio.
Il presidente Lech Kaczynski, ha ratificato una ampia riforma del codice penale polacco e ha voluto che venisse vietata: “la produzione, la distribuzione, il possesso, la stampa, la registrazione e altre rappresentazioni di simboli del comunismo, del fascismo e dei totalitarismi”.
Il tema dei reati di opinione s’interseca con le più profonde matrici storiche dell’evoluzione del diritto penale. Il diritto penale è il risultato di un’energia compositiva: è l’esito di scelte politiche, oltre che il frutto di radici logico-razionali.
I vari sistemi individuabili nella storia moderna del diritto criminale traggono la fonte dalle esperienze illuministico-liberali, positivistico-deterministiche, totalitarie e collettivistiche.
Il diritto penale, in quanto fondato su di un sistema di precetti e sanzioni che incide sulla libertà degli individui, è lo strumento più immediato per difendere o negare i diritti umani fondamentali. Negli ordinamenti totalitari il diritto criminale diventa strumento di sopraffazione dell’ideologia dominante: nell’ideologia marxista-leninista dell’U.R.S.S. e nell’ideologia nazista del III Reich, proprio i reati di opinione diventano sintomo di quella pericolosità sociale che si sostituisce alla responsabilità individuale.
Negli ordinamenti di tipo totalitario si è assistito ad un progressivo allontanamento tra i mala in se, riprovevoli secondo il diritto naturale, ed i mala quia prohibita, che non creano allarme sociale o che rimangono moralmente indifferenti o riprovevoli, quali i reati bagatellari, o peggio i reati di opinione.
Nel codice Rocco, con l’ausilio del codice penale militare venivano introdotti la critica, il dissenso, i delitti di apologia, propaganda, notizie false e tendenziose, grida sediziose, vilipendio. Nel corso di decenni, si era quasi riusciti ad epurare il codice penale vigente da gran parte dei reati di opinione. Recenti disegni di legge in Italia hanno proposto la reintroduzione di reati di opinione. I reati di opinione sono stati utilizzati dai regimi autoritari e totalitari, al fine di creare solidità ai regimi. Il nostro sistema costituzionale è già blindato. L’art. 3 e l’art. 21 della Costituzione repubblicana costituiscono le due sponde entro le quali il pensiero è libero.
Si può manifestare liberamente il proprio pensiero, sempre che non si creino discriminazioni di sesso, di lingua, di opinioni politiche e religiose e non si commetta reato.
Il nostro sistema costituzionale è uno dei migliori in assoluto; il nostro codice penale, corrette talune storture derivate dall’essere stato redatto nel 1930, appare una decorosa sintesi dei principi di libertà e della difesa sociale.
La Corte Costituzionale e il legislatore avevano lavorato per decenni per espungere dall’ordinamento tutti i reati di opinione, talvolta per manifesta contrarietà con le libertà fondamentali sancite nella Costituzione, talaltra avvalendosi del principio della necessaria offensività del comportamento incriminabile. Costituiscono fattispecie di reato sanzionabili l’istigazione a delinquere, per contrastare quei casi nei quali la manifestazione di un’idea può assurgere a spinta per determinare taluno a commettere un reato e il concorso morale di persone nel reato per il quale la sanzione è la medesima per chi concorre di quella edittale per l’autore materiale ed è prevista una aggravante per chi abbia ideato o determinato al crimine. Ma se il pensiero manifestato rimane idea o ricordo o persino nostalgia non è ammissibile che venga incriminato.
Non si può cancellare la memoria collettiva. Uno Stato liberale deve fortificare i valori cogenti attraverso un buon insegnamento ed una corretta divulgazione della dottrina storica onesta e rivisitata, non sanzionare simboli o mere manifestazioni del pensiero.
Il timore di non poter gestire il passato è sintomo della debolezza di uno Stato e della fragilità delle sue fondamenta.
Ma soprattutto rappresenta una pericolosa deriva di incriminazioni ad libitum. Un domani un governo non avveduto potrebbe decidere ad esempio di incriminare chi manifesti una fede politica o professi una religione.
Una grave commistione di sanzionabilità del “foro interno”, quando da sempre vige in principio etico e giuridico del “cogitationis poenam nemo patitur”.

Francesca Romana Fragale
*AVV. PENALISTA, PRESIDENTE DELL'ASSOCIAZIONE "FUTURO SOSTENIBILE". MEMBRO DELLA CAMERA PENALE DI ROMA

 
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