Due tipiche violazioni degli obblighi genitoriali
In due recenti pronunce,
la nr. 30747 (aprile
2009) della sesta Sezione
e la nr. 34838 (settembre
2009) della sezione penale
feriale, la Suprema
Corte ha affrontato la tematica
delle comportamentalità
genitoriali successive
alla separazione della famiglia,
partendo dall’esame
di due “storie processuali”
apparentemente lontane
fra loro (nel primo dei
casi dalla violazione dei
cosiddetti obblighi di assistenza
del figlio minore e
nel secondo caso dall’elusione
agli obblighi previsti
dal disposto della Presidenziale)
ma i cui comportamenti
sono entrambi sanzionati
dal codice penale,
per giungere ad un approfondimento
degli aspetti
psicologici propri di
quelle che, sicuramente,
possono considerarsi i casi
tipici dell’errato fare di
molti padri e madri.
E’ infatti purtroppo ben noto
a tutti coloro che si occupano
quotidianamente
delle consulenze in tema
di crisi della famiglia come,
la violazione delle
corrette comportamentalità
da parte
dei genitori,
abbia ad assumere
“caratteristiche
tipiche”
riscontrabili,
con
minime differenze,
nella
quasi totalità
dei casi dove
in luogo di un rapporto
funzionale si instaura una
disfunzione comportamentale
che parte dall’assunto:
“ora gliela faccio pagare”.
Più o meno consapevolmente
sono queste le motivazioni
che spingono i
papà e le mamme, in guerra
tra loro, ad assumere
“modi di fare tipici” che si
sostanziano nel caso dei
padri, con il far mancare il
danaro e la presenza, e nell’ipotesi
delle madri con
l’ostacolare e con il sottrarre
i figli, ma che, nel
tentativo di “colpire al cuore
il colpevole”, l’altro (genitore)
vissuto come unico
responsabile del fallimento
del rapporto, hanno i loro
più devastanti effetti sulla
serenità e sulla crescita dei
figli comuni.
Con la prima delle pronunce
si è voluto sottolineare
come la norma del 570 c.p.
nel prevedere il reato di
“sottrazione agli obblighi
di assistenza” comprenda
inscindibilmente i due
aspetti del quale si compone,
quello della violazione
degli obblighi di mantenimento
e quello dell’atteggiamento
omissivo nel curarsi
degli aspetti educazionali
della vita del figlio.
La mancanza e la lontananza
della figura genitoriale
rispetto al compito di crescere
educare e mantenere
la prole, è quindi sanzionata
dal nostro Codice con
assoluta certezza, così come
confermato dalla pronuncia
in commento, la cui
utilità massima sarà
senz’altro nel consentire,
appositamente richiamata,
al giudice del fatto un più
rapido ed incisivo intervento
che costringa l’inadempiente
a modificare il
proprio “facere” prima che
i figli abbiano raggiunto
quel grado di crescita che
non consenta più loro di
usufruire dell’insostituibile
rapporto con un padre.
Con la seconda pronuncia,
depositata dalla Sezione
Feriale della Cassazione in
data 8 settembre, i Giudici
hanno previsto la conferma
della sentenza di condanna
della Corte di Appello in
danno di una madre che,
facendosi forte del rifiuto
(indotto) della figlia di non
voler vedere il padre,
ometteva del tutto di adoperarsi per recuperare alla
figura la figura del padre e
così di fatto eludeva l’esecuzione
della pronuncia
Presidenziale di Separazione.
In questo caso, la
precisa ricostruzione degli
elementi di fatto, contenuti
nelle pronunce di merito,
ha portato la Corte di Cassazione
a rammentare ed a
far riferimento, nella parte
motiva, anche a quanto
emergeva dai rapporti dei
Carabinieri, che ricordavano
il comportamento della
madre come “spalleggiato”
da quello dei suoi “genitori”,
con ciò toccando
uno degli aspetti più interessanti
della dinamica disfunzionale
di cui ci si occupa.
Infatti, mentre nel
primo caso quello relativo
al reato tipico dei padri, il
comportamento è ascrivibile,
nella stragrande maggioranza
dei casi. ad una
volontà del singolo, che
usa il suo potere economico
per incidere in senso
negativo su quella che
sente solo la sua precedente
famiglia e che ora
vuole cancellare, senza
comprendere ed occuparsi
dei danni che subirà il
proprio figlio, nel caso
della madre “escludente”
vi è alle spalle di questa,
nella quasi totalità dei casi,
la famiglia di origine,
(quasi sempre la Madrenonna)
e l’inottemperanza
alle disposizioni di visita
e frequentazione indicate
dal Presidente del Tribunale
ha la sua ragion d’essere
nel cancellare la figura
di quello che viene sentito
come “un corpo estraneo”
alla famiglia immaginata,
che in questi casi
viene idealizzata nella figura
della “grande madre”
(madre della donna separata)
della “piccola madre”
(la donna separata) e
della prole senza spazio
alcuno per quello lì (il padre).
Non è raro del resto
leggere nelle CTU che si
occupano di ricostruire tali
dinamiche la definizione
della separanda come di
persona che ha instaurato
con la propria prole un “legame
fusionale” non in
grado quindi di prevederne
l’autonomia da essa, in
pratica, quindi, un ripetere
di quello che ancora la lega
alla genitrice. E’ appena il
caso di ricordare che il legame
fusionale tra un genitore
ed un figlio, lungi dall’essere
accettabile, viene
definito dai Consulenti
dell’area psicologica come
l’anticrescita per eccellenza,
ed è quindi da evitare il
più possibile. In entrambi i
casi trattati con le pronunce
in esame della Cassazione,
si è quindi ribadita la
valenza delle norme penale
nel sanzionare da un lato
quei comportamenti che
sono ricompresi nel precetto
degli articoli e dall’altro
nell’inasprire i canoni dell’ermeneutica
rammentando
come la tutela della prole
venga assicurata anche
nel non consentire interpretazioni
che possano prevedere
esimenti od attenuanti
di nessun tipo. Rammentare
queste Sentenze
davanti ai Tribunali Civili
della Famiglia potrà voler
dire avere due strumenti in
più nel tentare di difendere i
diritti dei Minori.
Giorgio Vaccaro
PRESIDENTE
DELL’ASSOCIAZIONE
CIRCOLO PSICOGIURIDICO