Piazza Fontana: la madre di tutte le stragi
Il 12 dicembre 1969 alle
ore 16.37 una bomba
esplodeva nei locali della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano in Piazza Fontana. Il bilancio
finale fu di 17 morti e 88
feriti. Per molti quello di
Piazza Fontana è un mistero,
anzi «la perfetta rappresentazione
di un mistero irrisolvibile», come
scrive Paolo Cucchiarelli,
giornalista parlamentare di
lungo corso, che abbiamo
intervistato in quanto autore
del pregevole «Il segreto
di Piazza Fontana» (Ponte
delle Grazie, 2009) corposo
saggio-inchiesta sulla
vicenda. Quel venerdì di
quarant’anni fa inizia una
lunga, tormentata e sanguinosa
storia: si possono ricondurre
indirettamente alla
strage - tra le altre - la
morte dell’anarchico Giuseppe
Pinelli (detto Pino),
e del Commissario di Pubblica
Sicurezza Luigi Calabresi.
Pinelli precipitò pochi
giorni dopo l’eccidio
da una finestra della Questura
di Milano proprio
mentre veniva interrogato
da Calabresi, a sua volta
trucidato in un attentato a
Milano il 17 maggio del
1972. Ed anche l’omicidio
Calabresi andrebbe considerato,
anzi ri-considerato
– secondo Cucchiarelli -
come collegato all’eccidio
in quanto «derivativo, cioè
un omicidio che si fa insieme
a qualcuno perché c’è
una convergenza di interessi
ad avere un obiettivo
comune da sponde opposte…». Il Commissario più
odiato d’Italia (grazie ai
compagni di “Lotta Continua”)
avrebbe infatti voluto
testimoniare su taluni inquietanti
circostanze da lui
scoperte legate alla strage
poco prima di morire, come
ben pochi sapevano.
Invece più o meno tutti sono
a conoscenza del fatto
che per Piazza Fontana le
indagini si concentrarono
dapprima sulla pista c.d.
“anarchica”, in particolare
su Pietro Valpreda e altri
anarchici milanesi (tra cui
il malcapitato Pinelli), a
cui si affiancò più tardi
quella “fascista” ovvero riconducibile
agli appartenenti
di “Ordine Nuovo”
organizzazione di estrema
destra attiva nel Triveneto,
animata da personaggi
quali l’inquietante avvocato
padovano Franco Freda,
l’editore Giovanni Ventura
(che ha riparato in Argentina),
l’allora giovanissimo
Delfo Zorzi (attualmente
ricco cittadino giapponese).
Ma questa non sarebbe
l’unica circostanza sconosciuta
- o quasi rispetto -
alla strage. Nel saggio si
narra anche di un altro coraggioso
Commissario di
P.S., Pasquale Juliano, il
quale sarebbe sul punto di
scoprire il complotto prima
di essere “fermato” da mani
forti. Un eroe, secondo
Cucchiarelli (che gli ha
dedicato il libro), anzi nella
vicenda «l’unico eroe
che mi piace ricordare».
Juliano, infatti, scoprì già
nella primavera del 1969
l’attività della cellula “ordinovista”
di Padova di
Freda&Co. (e che il gruppo
fosse in possesso di
esplosivo di origine
N.A.T.O.). E per questo
sarebbe stato pretestuosamente
sospeso dall’incarico
e dallo stipendio, addirittura
messo sotto processo.
Paga un duro prezzo
per aver rivelato «che
qualcuno stava preparando
una strage» ovvero
«per aver semplicemente
fatto il suo dovere». Il
giornalista sostiene anche
di più: afferma (invero con
molti e puntuali argomenti)
che la «strage di Piazza
Fontana è una operazione
di “intelligence” che doveva
predisporre un capro
espiatorio. Il capro espiatorio
– politicamente parlando
– erano gli anarchici
». In particolare, il gruppo
anarchico romano denominato
“22 marzo” guidato
da Valpreda («una
persona debole dentro un
meccanismo forte») pesantemente
“infiltrato” (il
gruppo) dai servizi segreti
e dalle Forze dell’Ordine.
E quindi manipolato e guidato,
secondo uno schema
tipico «quello della “trappola”,
lo schema di
“Oswald” [Lee Harvey
Oswald, il presunto solitario
assassino del Presidente
degli U.S.A. John Fitzgerald
Kennedy, NdT]».
Un complotto in piena regola,
la cui prova “regina”
riposerebbe negli indizi
forniti dall’Autore sulle
“doppie bombe” che sarebbero
esplose alla
B.N.A. di Piazza Fontana:
una “anarchica” e una “fascista”,
delle quali la prima
avrebbe dovuto essere “dimostrativa”
ovvero non
avrebbe dovuto causare
morti (la tesi, già nota, è
stata sostenuta anche da
eminenti personaggi quali
Paolo Emilio Taviani). Ma
«le bombe sono due, la volontà
omicida è solo una,
quella di chi fa esplodere
anticipatamente tutte e due
le bombe…» a banca
“aperta”, ovvero quando
essa è piena di gente. L’obbiettivo
era quello di far ricadere
successivamente la
responsabilità dell’eccidio
sugli anarchici, che pure
avrebbero collocato il primo
ordigno senza intenzioni
stragiste. Proprio per
questo tutto il saggio si
sviluppa sulla suggestiva
tesi del “doppio”. Due
gruppi separati (anarchici
e ordinovisti&co.), due
bombe, due taxi che portano
l’attentatore a destinazione.
In uno ci sarebbe
Valpreda, nell’altro un suo
“doppio” (ovvero un sosia
del ballerino anarchico)
che mette la bomba assassina
… E una scomoda,
unica, verità per arrivare a
scoprire il segreto di Piazza
Fontana, ovvero che lo
scopo finale era un golpe
in Italia per instaurare un
regime autoritario. Un progetto
di cui sarebbero stati
consapevoli (forse addirittura
complici) anche esponenti
istituzionali di primo
piano: un disegno eversivo
ad alto livello che ben spiegherebbe
l’impressionante
serie di depistaggi, insabbiamenti,
omissioni, reticenze
che si sono verificate
nel corso del tempo.
Cucchiarelli conclude che
più di un mistero si tratta di
«un segreto, un segreto politicamente
condiviso da
più settori… frutto di un
patteggiamento politico…
di un accordo… perché
era troppo scomodo all’epoca
rivelare la verità», e
che non ci sarebbe stata
una «regia unica, ma...
tante mani». Quelle degli
immancabili servizi segreti
più o meno “deviati”, della
famigerata “Gladio” (la sezione
italiana della legittima
e benemerita organizz
a z i o n e c l a n d e s t i n a
N.A.T.O. denominata
“stay-behind”), ma anche
dei meno conosciuti “Nuclei
di Difesa dello Stato”
una sorta di doppione segretissimo
di “Gladio”, degli
anarchici, degli ordinovisti
di Freda e Ventura e
altri ancora. La strage di
Piazza Fontana è stata la
madre di tutte le stragi che
hanno insanguinato l’Italia
e che hanno scandito – come
sottolinea Cucchiarelli
- le tappe più importanti
della nostra storia recente.
Strage per alcuni “di Stato”,
ma soprattutto una
strage per la quale lo Stato
(in particolare la magistratura,
nonostante 11 lunghi
processi celebrati dal 1972
fino al 2005) non è riuscito
ad individuare i colpevoli.
Strage che ha scavato una
ferita profonda – e non rimarginata
- nella coscienza
civile di un Paese che quel
freddo venerdì di tanti anni
fa forse ha perso definitivamente
la sua innocenza.
Rodolfo Capozzi
Avvocato del Foro di Roma