Crocefisso: tradizione o fissazione italiana?
Il 3 novembre la Corte
Europea si è pronunciata
sul ricorso della
cittadina italiana, Soile
Lautsi, presentato nel
2002. La cittadina aveva
chiesto all'istituto scolastico
frequentato dai suoi
due figli di togliere i crocefissi
dalle aule in quanto
rappresentavano una violazione
del principio di
laicità dello stato; la sua
richiesta non fu accolta e
altrettanto inutili furono i
vari reclami e ricorsi presso
i tribunali italiani. La
sua istanza è stata però accolta
dalla Corte di Strasburgo
che ha dichiarato:
"la presenza del crocefisso
potrebbe essere facilmente
interpretata dagli studenti
di tutte le età come simbolo
religioso, che avvertirebbero
così di essere educati
in un ambiente scolastico
che ha il marchio di
una data religione." La
corte sostiene, inoltre, che
la presenza nelle scuole
statali di un simbolo religioso
non può servire di
certo al "pluralismo educativo
che è essenziale per
la conservazione di una
società democratica". La
sentenza ha provocato
molte reazioni del mondo
civile, politico e religioso;
le parole che caratterizzano
il dibattito sono tradizione
e laicità.
Il ministro dell'istruzione
Mariastella Gelmini, in linea
con il presidente del
consiglio, ha già annunciato
il ricorso contro la sentenza
della Corte europea
per difendere un simbolo
della tradizione italiana. Il
Vaticano ha parlato di
"sentenza miope". Le uniche
voci stonate del coro
provengono dalla sinistra
radicale e dall'UAAR
(unione degli atei e degli
agnostici razionalisti), che
definiscono la sentenza
“un grande giorno per la
laicità italiana”.
Ad essere sincera la prima
domanda che mi sono posta
è: vi è una qualche legge
in merito? Un decreto
regio risalente al 1924 prevede
la presenza del crocefisso
nelle aule. Successivamente
questa legge
non è mai stata abrogata a
chiare lettere, la parola
crocefisso non compare
neanche nei patti lateranensi
in merito all'arredamento
delle aule.
Ora se consideriamo il
crocefisso in quanto simbolo
religioso, il principio
di laicità dello stato dichiarato
dalla Costituzione
ne prevederebbe l'eliminazione.
Inoltre a ciò si aggiunge
la legge addizionale
del 1985, n.121, che non
considera più in vigore il
principio, originariamente
richiamato dai patti Lateranensi,
della religione
cattolica come sola religione
dello Stato italiano.
Giustamente si potrebbe
affermare che il crocefisso
può assumere molti significati
culturali, può simboleggiare
la speranza, la vittoria
dell'amore sul potere
o anche la solitudine nella
morte e la sofferenza che
ne deriva, insomma tutti
valori che meritano di essere
insegnati.
Tuttavia, secondo la mia
opinione, il valore religioso
è il più evidente e ne
costituisce una parte importante
e non eliminabile;
in una società multietnica,
qual’è ormai quella italiana,
un simile simbolo posto
in aule pubbliche potrebbe
creare imbarazzo.
Di tradizioni l'Italia ne è
piena, anche se è nata tardi
come Stato, un'identità
nazionale l’abbiamo da
molto tempo; tuttavia non
sentiamo il bisogno di
“appendere” altre tradizioni
nelle nostre aule e il mio
spirito critico porta a chiedermene
la ragione: si
vuole effettivamente salvaguardare
una tradizione
o in realtà siamo condizionati
dalla presenza geopolitica
della chiesa nello
stato italiano? Ad ognuno
la sua risposta.
Comunque, tutta questa
discussione nello e fuori lo
Stato non ha molto senso
in quanto è, così formulata,
un dialogo sterile tra
adulti. Non credo che i
bambini delle elementari o
delle medie (confido nei
liceali) si accorgano della
presenza del crocefisso
nelle aule, oramai dove è
presente è diventato parte
dell'arredamento, come lo
può essere una sedia o un
banco, nulla più di questo.
Se di una tradizione non se
ne avverte il valore, penso
che sia ridicolo definirla
tale. A questo punto il dibattito
politico, riguardando
le aule, andrebbe trasferito
nelle aule.
Elettra Monaci