Con il dispositivo di condanna scatta la ex Cirielli
Con una recente pronuncia a Sezioni Unite (la n. 47008
del 10 dicembre 2009), la Suprema Corte di Cassazione, ribadendo l’orientamento maggioritario nella giurisprudenza di legittimità
e richiamando le motivazioni della sentenza n.
393 del 2006 della Corte Costituzionale, ha affermato che ai fini dell’applicazione
delle disposizioni transitorie della nuova disciplina
della prescrizione introdotta dalla l. n. 251 del
2005, la pronuncia della sentenza di condanna di
primo grado determina la pendenza del giudizio in appello e vale ad escludere la regola della retroattività delle disposizioni più favorevoli.
A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 10 comma 3, L. n. 251 del
2005, ad opera della richiamata sent. n. 393/2006, l’operatività dei nuovi termini di prescrizione risulta ormai esclusa unicamente con riguardo ai “processi
già pendenti in grado di appello o avanti la Corte di Cassazione” alla data di entrata in vigore della c.d.
legge ex Cirielli. In relazione all’attuale testo della
norma transitoria si è posto il quesito al quale le Sezioni Unite sono state chiamate a dare risposta, ossia se a seguito della sentenza di condanna emessa in primo grado debba ritenersi verificata
la pendenza in appello del processo, prevista
dall’art. 10 comma 3, L. 251/05 ai fini di escludere
l’applicabilità delle disposizioni sopravvenute, più
favorevoli in tema di prescrizione o se la pendenza
in appello si realizzi in un momento differente (presentazione del gravame iscrizione del processo nel registro della Corte d’Appello, etc.). Tra le diverse e contrastanti posizioni delineatesi nella giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite hanno aderito all’orientamento maggioritario – che fa coincidere la pendenza del processo in appello con la pronuncia della sentenza di primo grado –
condividendone le argomentazioni sottese, e cioè che la sentenza di condanna determina l’interruzione della prescrizione e che l’effetto, alla medesima riconosciuto, di escludere la retroattività delle norme più favorevoli, va riportato alla lettura del dispositivo e non al deposito della motivazione,
che non incide sul decorso della causa estintiva.
Secondo i giudici di legittimità, essendo indiscutibile
l’operatività della disciplina più favorevole per tutta la durata del giudizio di primo grado, risulta legittimo far scattare l’esclusione a partire dall’atto
conclusivo di quest’ultimo il quale si concreti in una
sentenza di condanna: ravvisare la pendenza di un
procedimento in appello nel momento in cui viene
emesso il provvedimento che pone fine al grado precedente trova “congrua spiegazione nella circostanza che questo evento comporta l’impossibilità per il giudice di assumere ulteriori
decisioni in merito all’accusa, nell’ambito del processo principale e che esso apre comunque la fase dell’impugnazione, indipendentemente dal fatto che siano aperti i termini per proporla”. La sentenza di condanna – quale accadimento
che conclude il giudizio di primo grado nel cui corso si è raccolto il materiale probatorio e quale
evento che, consolidando l’accusa, interrompe la prescrizione – risulta, pertanto, idonea, sia in relazione al momento processuale in cui interviene, sia con riguardo al suo contenuto di verifica fattuale e di imposizione punitiva, a segnare la linea di demarcazione temporale tra
la pregressa e la nuova normativa.
Infine, la Suprema Corte – seppur incidentalmente
– ribadisce che l’esclusione sancita dall’art. 10 c. 3 l. 251/05 non concerne solo i termini fissati dall’art.
157 c.p., ma tutte le disposizioni che hanno come effetto una loro riduzione, dal momento
che la norma non distingue tra i vari modi che
possono portare a detto risultato: ne consegue che nell’ambito della non operatività deve ritenersi compresa anche l’ipotesi in cui la maggior brevità del tempo di prescrizione derivi da una disposizione che incide sulla durata stessa, anticipandone nel tempo la decorrenza, come
quella che, eliminando nell’art. 158 c.p. il richiamo alla continuazione, ha determinato che, in caso di reati uniti da tale vincolo, debba aversi riguardo alla commissione di ciascuno di essi e non già alla data di cessazione dell’attività criminosa.
Claudio Prota