Le ultime sette parole di Caravaggio
Ruggero Cappuccio
racconta la fine della
vita di Caravaggio: il
controverso artista in fuga
dalla persecuzione della
Chiesa e dei Cavalieri di
Malta, si trova in Sicilia, accompagnato
da Tropea, pittore
sfortunato che gli fa da
assistente. Alternando momenti
di comicità al crescendo
drammatico, Cappuccio
lascia che il Merisi dia sfogo
a tutto ciò che lo angoscia.
La luce gli pesa sull’anima,
quella stessa luce che ha usato
mirabilmente. I colori preparati
da Tropea non sono
mai quelli che desidera. Perfino
la propria identità è
troppo pesante da sopportare,
ed arriva a rinnegarla.
Sette “feminote”, donne siciliane
emarginate dalla società
per essere state disonorate, vivono nell’ombra, sfogando la rabbia per i torti
subìti in canti e danze osceni,
sospese tra riti pagani e sabba
da streghe. Diventare assassine
non reca loro alcun
turbamento, tanto sono
profonde le ferite dell’anima
e tanto forte il desiderio di
vendetta. Seducono il povero
Tropea e ne fanno un traditore.
Pugnalando l’artista uccidono
il sogno per loro irraggiungibile
della bellezza, e
palesano ferocemente lacerazioni
fino ad allora invisibili.
Il dolore si somma, si intreccia
fino a confondersi e l’unica
redenzione sgorga insieme
al sangue nelle ultime parole
del pittore, che morendo
si riappropria del suo nome e
dell’arte immensa che ha generato.
“Miserere, Caravaggio
mi sono fatto io solo”.
Clotilde Spadafora