La caduta degli Dei
A colpi di autorevolezza
accademica,
di carisma istituzionale,
di titoli professionali
si sono cimentati per
occupare le posizione di
vertice nel guinness dei record
negativi. Già il titolo
di Prof. suscita un certo timore
reverenziale, una attesa
vibrante per ciò che
diranno, per la profondità
del pensiero, per l’innovazione
dell’analisi, per il
messaggio illuminante.
Il Prof. Catricalà (Presidente
dell’Antitrust) e subito
dopo il Prof. Ichino
(noto giuslavorista, accademico
di fama internazionale)
hanno lanciato nell’immaginario
collettivo
una traccia delle caratteristiche
professionali dell’avvocato,
della figura del
professionista difensore
nella società italiana. Un
gioiello di sintesi per consegnare
al colto e all’inclito,
l’uno attraverso il video
e l’altro con la carta stampata,
la verità sull’effettivo
lavoro dell’avvocato.
Il Prof. Catricalà, in una
nota trasmissione televisiva,
ha sentenziato che
quella degli avvocati è una
corporazione che lucra
rendite di posizione, pone
ostacoli all’accesso alla
professione. Una delle
troppe caste presenti nel
Paese. Il Prof. Ichino è stato
ancora più diretto “la
scelta dell’avvocato tra le
diverse opzioni difensive
può essere dettata più dalle
sue prospettive di guadagno
che dall’interesse
effettivo del cliente”. In
breve l’avvocato nella strategia
difensiva sceglie dove
guadagna di più. Forte
del suo sapere tecnico
l’Avvocato si trova in una
posizione di vantaggio sul
povero cliente, un forte
conflitto di interessi … che
nell’immaginario collettivo
consegna una casta
chiusa ed avida, cui hanno
contribuito non irreprensibili
comportamenti di avvocati
coperti di fatto da
quella che poteva apparire
come benevola indifferenza
dei Consigli dell’Ordine.
Peraltro, il Professore si
era già cimentato nella elaborazione
dottrinale di originali
e brillanti teorie al
tempo del c.d. decreto Bersani.
Sosteneva Ichino che
il divieto alla pubblicità
“impedisce la circolazione
di informazioni necessarie
agli utenti per orientarsi
tra le numerose specializzazioni
ormai indispensabili
per una assistenza legale
efficace e favorisce i
professionisti anziani rispetto
ai giovani” che
“l’abolizione dei minimi
tariffari favorisce la concorrenza
ed il lavoro per i
giovani avvocati” che gli
avvocati badano principalmente
al proprio tornaconto,
considerando ogni
pratica occasione per tosare
il malcapitato cliente”
e “l’introdurre del patto
quota lite favorisce la
crescita e lo sviluppo della
professione, come il suo
prestigio” .
L’incipit dell’articolo del
tempo, sempre sulle pagine
del Corriere della Sera, era
una vera offesa gratuita a
tutta la categoria degli avvocati:
“uno sciopero che fa
danno soltanto a soggetti
terzi e al corso della giustizia”
“l’avvocato in sciopero
continua a lavorare e a
guadagnare nel chiuso del
suo studio, con la possibilità
straordinaria di scegliere
le udienze dalle quali
astenersi, cioè quelle in cui
ha interesse alla dilazione,
dove invece l’interesse non
c’è l’avvocato può sospendere
lo sciopero per la durata
della singola udienza”.
Peccato che tanti studi, tanti
riconoscimenti pubblici,
tanti prestigiosi attestati sono
serviti a ben poco, perché
la pochezza dei giudizi
è tale che non meriterebbero
risposta se non fosse che
milioni di cittadini-consumatori
hanno appreso dalla
voce dei Proff. la vera natura,
il genoma dell’avvocato
italiano nel secondo e terzo
millennio. Una vera caduta
degli dei del sapere.
Va, comunque, segnalato
che un simile approccio alle
citate teorizzazioni sul
lavoro degli avvocati è stato
in parte generato dai
provvedimenti che il Governo
ha varato nel luglio
del 2006: un primo provvedimento
sulle liberalizzazioni
ha riguardato l’abolizione
della vendita in esclusiva
delle polizze assicurative,
il risarcimento dei
danni da richiedere alla
propria assicurazione (indennizzo
diretto), l’abolizione
delle tariffe minime
per i professionisti, rendere
lecito l’accordo tra avvocato
e cliente sulla ripartizione
del risultato della causa
(abolizione del patto quota
lite). Alla base di detti provvedimenti
la determinazione
di avviare le liberalizzazioni;
parola magica, soluzione
per ogni problema.
Ebbene, per comprendere la
portata, l’efficacia del cambiamento,
se effettivamente
l’economia italiana è stata
liberata, se il cittadino-consumatore
ha avuto dei vantaggi,
se le caste sono state
colpite, se sono state abbattute
le rendite di posizione,
se si sono moltiplicate le
occasioni di lavoro per i
giovani, occorre prima di
tutto avere chiara la nozione
di “libera concorrenza”.
I consumatori, come pure le
imprese, lo Stato e gli altri
soggetti economici, per
procurarsi i mezzi necessari
alla soddisfazione dei propri
bisogni acquistano sul
mercato beni e servizi. In
breve si tratta di una situazione
di concorrenza perfetta.
Nella realtà economica,
tuttavia, non si realizzano
le condizioni per la concorrenza
perfetta. Al contrario
le forme di mercato
esistenti sono rappresentate
dall’oligopolio e dalla concorrenza
monopolistica,
chiamata anche concorrenza
imperfetta, per la semplice
ragione che le imprese
tendono a differenziare i loro
prodotti, venendo a mancare
la caratteristica della
omogeneità; che alcune imprese
hanno più mezzi da
investire in pubblicità in
modo da espandersi ed affermarsi
sui mercati, conquistando
sempre maggiori
spazi.
La c.d. liberalizzazione non
ha funzionato per gli avvocati,
anzi è stata controproducente
al tentativo dichiarato
della liberalizzazione
del mercato. La difesa del
cittadino che è indagato di
un reato, che vanta un diritto
disatteso, che vuol far
eseguire un titolo esecutivo,
che chiede una tutela, non è
una merce o un servizio che
si colloca sul mercato per
essere scambiato con l’incontro
della domanda e dell’offerta,
la fissazione di un
prezzo di equilibrio e l’allocazione
ottimale delle risorse.
La scelta del legale non
funziona con i saldi a fine
stagione del negozio a
prezzi stracciati. Bisogna
garantire al cliente-consumatore
uno standard minimo
di prestazione, la sicurezza
che il professionista
abbia le qualità tecniche e
morali (deontologiche) sufficienti
per eseguire un delicato
lavoro, che in ogni
caso viene giudicato non
dal cliente, ma da un soggetto
terzo, il Magistrato,
che decide la sorte della
causa con criteri che nulla
hanno a che vedere con i
meccanismi del mercato.
Inoltre, l’acquisizione dei
clienti, per il 60 % dei casi,
avviene fuori dai meccanismi
del mercato, grazie ad
amicizie e legami con banche,
assicurazioni, sindacati,
unioni industriali, grandi
imprese, enti pubblici. I
giovani avvocati non hanno
beneficiato della abolizione
dei minimi tariffari, non
esiste un elenco con il prezzario
per ogni avvocato che
può segnalare al pubblico il
suo compenso più basso del
collega. Il cittadino sceglie
l’avvocato come sceglie il
medico, informandosi presso
gli amici. Anche l’abolizione
del divieto di patto
quota lite è stato un provvedimento
pessimo. Il patto
quota lite consiste in un accordo
tra l’avvocato e il suo
assistito, antecedente alla
conclusione del processo,
in base al quale il cliente si
obbliga a riconoscere al
proprio legale una parte del
risultato ottenuto. L’abolizione
delle tariffe minime
ha generato un dumping
della manodopera intellettuale,
con benefici per le
banche, assicurazioni, grandi
imprese, sindacati, associazione
dei consumatori.
Questi richiedenti di servizi
legali hanno potuto, in posizione
dominante, conferire
mandati al ribasso,
fissando gli onorari a livelli
minimi, forti della disponibilità
degli avvocati, che
pur di lavorare, hanno accettato
compensi minimi.
L’indennizzo diretto ha solo
aumentato i premi delle polizze
assicurative, avvantaggiando
ancora una volta
le Compagnie Assicurative.
Le risposte al violento attacco
alla categoria sono
state poche e con poca visibilità.
40 associazioni forensi,
l’OUA (organismo
politico), gruppi sparsi di
reduci delle battaglie per un
posto all’Ordine, francamente
non possono assumere
la difesa di ben
200.000 avvocati di cui
24.000 solo a Roma.
Pensiamo sia giunto il momento
di unire le forze, non
più nelle dichiarazioni ufficiali,
nei convegni, nelle
occasioni elettorali, nei diffusi
commenti, nei ricorrenti
appelli all’unità della categoria?
Un presidio (chiamiamolo
associazione, sindacato,
unione, federazione….)
per tutelare il ruolo e
la funzione costituzionale
della professione di avvocato?
Basta volgere lo
sguardo altrove: magistrati,
commercialisti, medici, ingegneri
che sono dotati di
una organizzazione rappresentativa
dei loro interessi.
E noi? Per il momento federiamo
(coordiniamo, semplifichiamo,
razionalizziamo)
le varie associazione,
sigle, gruppi, comitati, quale
primo passo per iniziare
un percorso di vera e fattiva
aggregazione.Manda una
Tua adesione per costituire
una federazione e.mail
avv.priolo@gmail.com
Carlo Priolo
* Avvocato del Foro di Roma