Rapporto fra sostituto processuale e sostituito
Sussiste un indirizzo
giurisprudenziale secondo
il quale il difensore
d’ufficio, nominato
in udienza ai sensi dell’art.
97 comma 4° c.p.p.,
assumerebbe in tutto e per
tutto le vesti di sostituto
processuale dell’avvocato
titolare dell’ufficio difensivo
assente, acquisendo
così l’onere, nel caso in cui
il processo venga rinviato,
di avvisare il titolare della
difesa circa la nuova data
di udienza (Cass., SS. UU.,
8285/06). A tal proposito
viene richiamato il disposto
dell’art. 477 comma 3
c.p.p., in forza del quale
“gli avvisi sostituiscono le
citazioni e le notificazioni
per coloro che sono comparsi
o debbono considerarsi
presenti”.
Ebbene, il difensore d’ufficio,
temporaneamente nominato
in vista di un atto
per il quale è necessaria la
sua presenza, non può assumere
la qualifica di sostituto
processuale ordinariamente
inteso; tale veste,
infatti, viene acquisita per
mezzo di un mandato effettuato
dal difensore nominato,
al quale in primis
compete la difesa. La nomina
di un sostituto processuale,
possiamo ben dire,
è da annoverare fra
quegli atti cc.dd. “personalissimi”,
in quanto dell’operato
del sostituto risponde
il difensore titolare, soprattutto
nei confronti del
proprio assistito. Sul punto
la lettera dell’art. 102
c.p.p., anche a volerla
estendere oltre misura, non
tradisce allorquando afferma
che “il difensore di fiducia
e il difensore di ufficio
possono nominare un
sostituto”, attribuendo,
esclusivamente, al titolare
della difesa, fiduciario o
d’ufficio che sia, la possibilità
di nominare un sostituto
di propria fiducia.
Da tale assunto deriva che
la designazione da parte
del magistrato procedente
di un difensore d’ufficio,
per assenza od irreperibilità
del difensore titolare,
non può assumere i tratti
della nomina del sostituto
processuale tradizionalmente
intesa, quale proiezione
del difensore originariamente
incaricato, anche
a dispetto del riferimento
normativo contemplato
dall’art. 97 comma
4° c.p.p., richiamante l’art.
102 c.p.p.
Per di più, da tale designazione
necessitata non può
discendere per il difensore
d’ufficio l’onere o l’obbligo,
per un presunto dovere
del proprio ufficio, di notiziare
il difensore titolare
della difesa di quanto accaduto
in sua assenza; tuttalpiù
si genera un dovere di
cortesia professionale, inquadrabile,
forse, ma in
concreto tale tesi appare
priva di un effettivo supporto
normativo, fra i comportamenti
deontologicamente
corretti e desiderabili,
previsti dall’art. 22,
primo periodo, del codice
deontologico forense, rubricato
“rapporti di colleganza”.
In tale ipotesi, a
ben vedere, il difensore
d’ufficio, unico titolare del
mandato difensivo, attribuitogli
in base alla norma
di cui all’art. 97 c.p.p., non
ha alcun obbligo legale di
corrispondenza con il difensore
fiduciario o d’ufficio
precedentemente nominato,
in quanto autonomo
difensore temporaneamente
incaricato per legge.
Accade così, allora, che la
forzata coincidenza fra la
figura del difensore d’ufficio
e quella del sostituto
processuale comporta un
vulnus dei diritti dell’imputato.
Infatti, l’individuazione
del difensore da parte
dell’imputato è essenzialmente
fondata sull’intuitus
personae; tale scelta
è, dunque, ancorata alle
qualità professionali dell’avvocato,
alle cui cure
l’accusato si affida, ivi
compreso l’entourage tecnico
di cui il professionista
si avvale. La designazione
di un difensore d’ufficio,
necessaria nell’ipotesi di
assenza del difensore titolare,
non può in alcun modo
originare alcun cordone
ombelicale fra le due diverse
figure. È solo l’avvocato
incaricato della difesa
che può dare un “submandato”
difensivo al sostituto
da lui stesso individuato,
pretendendo da questo un
preciso ragguaglio di
quanto avvenuto in udienza.
Solo in tal caso, infatti,
si può effettivamente affermare
che il difensore assente
si possa considerare
presente.
Alessandro Segreto
* Avvocato del Foro di Roma