Il libero professionista non è un imprenditore
Anche la Cassazione
penale (sez. III
sent. 22/10/09 n.
49385) conferma che nel
nostro ordinamento positivo
l’attività libero professionale
non è riconducibile
allo statuto dell’imprenditore.
Nel giudicare infatti un
geometra iscritto all’albo
imputato di aver usato per
il suo lavoro programmi
tecnici privi di “licenza
d’uso”; la Corte dichiara
che il fatto non costituisce
reato prevedendo l’art. 171
bis L. 633/41 che il reato è
perfezionato dal solo uso a
scopo commerciale ed imprenditoriale.
Ritiene la Corte che l’uso a
scopo professionale sia un
quid diverso e non riconducibile
all’esercizio di
commercio o impresa; e
quindi, in ossequio al principio
di legittimità ed al divieto
di interpretazione in
malam partem perviene all’assoluzione.
L’argomentare della Corte
è tutto di diritto positivo
fondato sulle distinte discipline
codicistiche ex artt.
2084, 2188, 2222 e 2229
c.c..
Di particolare interesse la
valorizzazione del’art.
2232 c.c.; la Corte così argomenta:
“Anche il professionista
intellettuale assume
la qualità di imprenditore
commercial e quando
esercita la
professione
nell’ambito di
un’attività organizzata
in forma d’impresa, i n
quanto svolga
una distinta ed
assorbente attività
che si contraddistingue
da quella professionale
per il diverso ruolo che
riveste il sostrato organizzativo
- il quale cessa di
essere meramente strumentale
- e per il differente
apporto del professionista,
non più circoscritto alle
prestazioni d’opera intellettuale,
ma involgente
una prevalente azione di
organizzazione, ossia di
coordinamento e di controllo
dei fattori produttivi,
che si affianca all’attività
tecnica ai fini della produzione
del servizio”.
L’argomentare della Corte
tuttavia seppur sufficiente
ai fini di una sentenza penale
non è certamente
esauriente, dal momento
che non rende conto degli
orientamenti della U.E., né
valorizza a pieno le sentenze
della Corte Europea che
legittimano con il prevalente
interesse pubblico il
sistema delle tariffe.
Ma più, la sentenza così
argomentata rivela una visione
“passatista” della
professione, lasciando sullo
sfondo i problemi che
sorgono dalle mutazioni
socio economiche della
stessa.
Ci si riferisce al lavoro seriale,
al facilitato accesso,
alla giurisprudenza e quindi
al maggior tasso di prevedibilità
della decisione.
Manca ogni approfondimento
del concetto di: “in
forma di impresa” specie
alla luce del principio di
etero-vestizione dei modelli
societari introdotto
con la modifica dell’art.
2615 ter c.c..
Non si porta alcun contributo,
proprio nell’ottica
del tertium genus, alla valutazione
dello studio professionale
come patrimonio
ed alla sua circolazione
si giunge ineludibilmente
nella tematica delle società
professionali.
In breve una sentenza corretta,
ma che in nulla incrementa
il dibattito sulla
modernizzazione delle
professioni.
Roberto Zazza
* Presidente Forum della Professioni