Il processo di neovascolarizzazione
informatica
ha interessato
già da tempo ogni settore
dell’attività umana divenendo
un aspetto onnipresente
nella quotidianità
degli ambienti lavorativi e
privati. La diffusione di
queste nuove realtà informatiche
ha fatto aumentare
in modo esponenziale
le informazioni che vengono
create, comunicate
ed archiviate in forma digitale.
Il processo di neovascolarizzazione
informatica
ha interessato
già da tempo ogni settore
dell’attività umana divenendo
un aspetto onnipresente
nella quotidianità
degli ambienti lavorativi e
privati. La diffusione di
queste nuove realtà informatiche
ha fatto aumentare
in modo esponenziale
le informazioni che vengono
create, comunicate
ed archiviate in forma digitale.
I computer e le altre
apparecchiature elettroniche
divengono così,
sempre con maggiore frequenza,
protagonisti e fedeli
testimoni del delitto.
I soggetti istituzionalmente
chiamati ad indagare
sul crimine devono fare i
conti, non facili, con questo
nuovo e delicato materiale
probatorio. Il terreno
su cui operare non è
dei più semplici in quanto
per una corretta manipolazione
del materiale
informatico sono necessarie
delle particolari conoscenze
tecniche. Come
mette ben in evidenza il
dottor Gerardo Costabile,
Guardia di Finanza di Milano,
in Italia non esistono
omogenei protocolli di
cristallizzazione delle
prove digitali presenti
nella scena criminis. Questa
carenza di comuni e
preordinati protocolli operativi
determina un approccio,
alle suddette prove,
rilasciato alle singole
professionalità dei soggetti
che di volta in volta si
trovano ad essere i protagonisti
dell’investigazione.
La necessaria padronanza
di una materia
complessa e in costante
evoluzione è elemento essenziale
per poter garantire
una corretta ricerca ed
archiviazione del materiale
probatorio spendibile in
sede processuale.
Le prove digitali sono caratterizzate,
quindi, da
una intrinseca fragilità
che rende le stesse facilmente
soggette ad alterazioni
e danneggiamenti
anche da parte degli stessi
investigatori che se non
adeguatamente preparati
possono compromettere
ed inquinare, anche inconsapevolmente,
la scena
criminis. Per la polizia
giudiziaria la fase più delicata,
alla luce di quanto
affermato, è quella relativa
al reperimento e all’acquisizione
degli elementi
di prova di natura informatica.
Queste difficoltà
operative si ripercuotono
inevitabilmente sull’interpretazione
e sull’applicazione
dei diversi istituti
giuridici che normalmente
vengono utilizzati per acquisire
e conservare le
prove materiali di un crimine.
A ben osservare, la
prova informatica può essere
definita come la rappresentazione
di un insieme
di informazioni relative
ad un determinato
evento criminoso espressa
in linguaggio informatico;
ossia, in un linguaggio
non immediatamente interpretabile
dall’uomo attraverso
i suoi sensi. Nel
momento in cui si adotta
la tecnologia informatica,
memorizzando su supporti
ottici o magnetici il
contenuto “informativo”
(astratto) di un qualsiasi
documento, diviene necessario
distinguere tra
“contenuto” e “contenitore”.
Tuttavia, la caratteristica
principale dell’elemento
di prova in questione
è quello di essere
una realtà facilmente manipolabile
ed alterabile. In
virtù di queste particolari
caratteristiche la prova
informatica per essere tale
(prova) in sede processuale
dovrà possedere alcune
rilevati ed imprescindibili
caratteristiche, tra le quali
un ruolo di particolare rilevanza
è rivestito dall’integrità.
Si può comprendere,
anche da questa breve
e lacunosa descrizione,
che la necessità di elaborare
e fissare normativamente
dei protocolli operativi
comuni da utilizzare
in sede di ricerca e conservazione
della prova è
un’esigenza non più procrastinabile.
A questa considerazione,
infine, si deve aggiungere
anche quella relativa all’esigenza
di riformulare
molte delle norme del codice
di procedura penale
tenendo in considerazione
la natura particolare delle
prove informatiche.
La disponibilità di strumenti
operativi specifici
si configura come un momento
necessario non solo
per consentire alla pubblica
autorità di ricercare
e conservare la prova
informatica in modo da
garantirne l’utilizzabilità
processuale ma anche per
lo stesso soggetto indagato
al fine di disporre di un
punto di riferimento normativo
idoneo a verificare
che l’invasione della
sua sfera personale e privata
non sia stata attuata
oltre i limiti necessari e
consentiti.
Di Leo Stilo