Il togato si indigna, protesta, sciopera e si astiene
«Money, it’s a
crime share it fairly
but don’t take a slice of my
pie» cantavano I Pink
Floyd nel 1973 nella canzone
“Money”, ovvero:“denaro, è un crimine, dividetelo
equamente ma
non toccate il mio gruzzoletto”.
Una massima che vale
tutt’oggi, soprattutto nell’agitato
pianeta Giustizia,
nel quale le varie componenti
(avvocati, magistrati,
cancellieri, ecc.) sono divise
su tutto tranne che su
un argomento: i soldi. Ovvero,
fate come vi pare,
ma non toccate in nessun
caso il mio gruzzoletto.
Da un lato l’Associazione
Nazionale Magistrati
(A.N.M.) scende sul piede
di guerra e decide di organizzare
un grande sciopero
contro la manovra economica
del Governo motivando
la grave decisione
sul rilievo che «la manovra
incide unicamente sul
pubblico impiego … [e]
paralizza l’intero sistema
giudiziario … svilisce la
dignità della funzione giudiziaria
e mina l’indipendenza
e l’autonomia della
magistratura; incide in
misura rilevante soprattutto
sulle retribuzioni dei
magistrati più giovani che
subiscono una riduzione
di stipendio fino al 30%».
Anzi, peggio ancora: le
misure in parola colpiscono
in maniera «iniqua, indiscriminata
e causale». Il
giovane (ed idealista) magistrato
di prima nomina
con uno stipendio lordo di
circa 40mila euro, secondo
l’A.N.M., subirà tagli per
circa 10mila euro (lordi)
all’anno.
E allora i togati scattano
come un sol uomo, mettendo
da parte le divisioni
di corrente, le rivalità professionali,
le antipatie personali:
tutti per uno, uno
per tutti. E la Giunta dell’Unione
delle Camere Penali
Italiane (U.C.P.I.) ne
approfitta per portare un
assalto all’arma bianca all’A.
N.M. ovvero la «casta
della magistratura associata
», per via dello sciopero
i cui sopra «diretto a
mantenere privilegi economici
e di corporazione»,
ispirato da «mere ragioni
di conservazione [di] potere
e [di] privilegio», in
un incendiario e discutibile
comunicato stampa, poi
successivamente riveduto
e corretto.
Dall’altro lato gli avvocati
sono anch’essi sensibilissimi
al tema, ma - sovente
- nelle sedi competenti si
presentano – come al solito
- divisi e litigiosi.
E’ successo recentemente
anche al Tribunale di Roma,
in sede di elaborazione
di un prontuario in tema
di gratuito patrocinio e
riconoscimento degli onorari
ai difensori d’ufficio.
L’idea è di creare un prontuario
a cui si allega uno
schema di liquidazione degli
onorari a “parcella
standardizzata”, che è in
corso di realizzazione (anzi,
in dirittura d’arrivo),
frutto degli sforzi congiunti
di una commissione
guidata dal dr. Bruno Iannolo,
magistrato in forza
alla V Sezione Penale, a
cui partecipano la Camera
Penale di Roma e l’Associazione
Nazionale Forense
(A.N.F.) capitolina, ed a
cui si è aggiunta anche
l’Associazione forense
“Ius ac Bonum” presieduta
dall’Avv. Arianna Agnese
(e di cui è diventato recentemente
– ed immeritatamente
– segretario lo scrivente).
Ebbene, alla riunione tenutasi
il 20 maggio scorso
nella nutrita pattuglia avvocatesca
solo noi di “Ius
ac Bonum” abbiamo sollevato
obiezioni in merito all’inadeguatezza
degli onorari
previsti, come – ad
esempio - nel caso di patteggiamento.
Ne è seguita una accesa
seppur stimolante discussione
– tutta interna alle
realtà associative forensi
presenti – proprio sul delicato
tema dei compensi all’avvocato
e sugli aspetti
economici della nostra
professione.
Anzi, occorre amaramente
aggiungere che gli autorevoli
rappresentanti della
C.P.R. hanno violentemente
attaccato sul punto proprio
noi di “Ius ac Bonum”,
ultimi arrivati carichi
di speranze, davanti ai
magistrati presenti, imbarazzati
e forse un po’ divertiti...
Più sfumata e prudente la
posizione dell’A.N.F. romana,
per bocca dell’Avv.
Marco Lepri che, interpellato
sul punto, ammette
che «molti nostri giovani
colleghi che lavorano soprattutto
con il patrocinio
a spese dello Stato e con le
difese di ufficio, hanno effettivi
problemi a mandare
avanti il proprio studio a
causa della lentissima lavorazione
delle
proprie istanze e del conseguente
tardivo pagamento
delle liquidazioni».
Marco, puoi dirlo forte!
Per quanto riguarda le
“parcelle forfetizzate” il
collega Lepri si dice convinto
che «non potranno
che avere un risultato positivo
per i giovani colleghi
menzionati, perché daranno
loro la possibilità di
aderirvi e, ciò facendo, di
annullare sostanzialmente
i tempi di attesa per l’invio
delle liquidazioni al
modello 12 [l’ufficio dove
si incassano i soldi,
NdR]». In ogni caso è stato
assicurato dal (paterno e
paziente, con noi avvocati,
va detto) dr.Iannolo che gli
importi delle parcelle forfetizzate
potranno essere
eventualmente rivisti, specie
se non dovessero riscuotere
consenso a causa
della loro entità.
E’ l’amara previsione di noi di “Ius ac
B o n u m ” , ma si vedrà.
Più in generale
c’è chi pensa (lo s c r i v e n t e )
che vi sia
un rapporto di proporzionalità
diretta fra la difficoltà ad o t t e n e r e
gli onorari per i difensori
d’ufficio
e il progressivo
ed
evidente deterioramento
del livello tecnico
della difese d’ufficio
medesime. E lo stesso discorso
ben si potrebbe fare
per le difese degli avvocati
ammessi all’elenco del
gratuito patrocinio.
Ma c’è da aggiungere che
oggi, di fatto, essere iscritto
nell’elenco dei difensori
d’ufficio a Roma equivale
a una forma di volontariato
gratuito, ferma restando
l’utilità di tale attività
in termini di formazione
professionale e indiscusso
l’alto valore morale
dell’opera svolta.
Ma gli avvocati – anche e
soprattutto quelli iscritti
alle difese di ufficio e nell’elenco
del gratuito patrocinio
- non vivono d’amore,
e devono pagare le bollette,
le spese di studio, le
rate del mutuo e magari
pure il noleggio della toga.
«E io pago …!!!» avrebbe
esclamato il grande Totò.
Interrogato alla Camera, in
una seduta dello scorso 13
maggio, sul problema dei
fondi per la liquidazione
dei compensi in favore
delle due ardimentose categorie
di legali di cui sopra,
il Governo, per bocca
della Elisabetta Alberta
Casellati Sottosegretario
di Stato per la giustizia, ha
ammesso che soltanto per
l’anno scorso vi sarebbe
ancora un debito pari a circa
30 milioni di euro per
compensi agli avvocati liquidati,
ma dagli stessi
non ancora incassati.
Il Sottosegretario ha promesso
i soldi per pagare i
debiti pregressi fino all’anno
2007, snocciolando
una serie di cifre relativo
al capitolo di spesa 1360 -
che qui interessa - del Ministero
della Giustizia. Ma
fra stanziamenti per cassa
e per competenza, variazioni
di bilancio e assegnazioni
straordinarie
francamente non si è capito
ancora quanti soldi ci
sono e quando saranno effettivamente
disponibili.
Rimanga agli atti che
l’On.le Casellati è avvocato.
Grazie, collega.
«In questo modo si calpesta
la dignità dell’ordine
forense e soprattutto l’effettivo
diritto di difesa del
cittadino» chiosa l’Avv.
Arianna Agnese, Presidente
dell’Associazione “Ius
ac Bonum” «fra la presentazione
dell’istanza per la
liquidazione dei compensi
degli avvocati per il gratuito
patrocinio e l’effettivo
incasso delle somme possono
trascorrere tranquillamente
anche quattro o
cinque anni … abbastanza
per prendersi una laurea».
Infatti, l’art. 83 del Decreto
del Presidente della Repubblica
n. 115 del 2002 (il famigerato
Testo unico delle
spese di giustizia) precisa
che la liquidazione dei
compensi è prevista «al
termine di ciascuna fase o
grado del processo e, comunque,
all’atto della cessazione
dell’incarico» previo
emissione di decreto di
pagamento dell’Autorità
giudiziaria. Ma i tempi si
allungano ulteriormente
perché il pagamento effettivo
viene delegato ad altri
uffici (il mitico “modello
12” di cui sopra), ad opera
di spietati “funzionari delegati”
che provvedono alla
bisogna in rigoroso ordine
cronologico e nei limiti dei
fondi che passa loro il parsimonioso
Ministero dell’Economia.
Il Presidente Agnese conclude
magistralmente: «noi
crediamo fermamente che
avvocati e magistrati debbano
essere retribuiti in
modo congruo e dignitoso
per il delicatissimo lavoro
che svolgono, ciascuno nei
propri ambiti. Il sacrosanto
principio costituzionale
per cui vengono assicurati
ai non abbienti i mezzi per
difendersi davanti a ogni
giurisdizione [di cui all’art.
24 Cost., NdR] rimane sulla
carta: una giustizia
“giusta” ha un costo anche
economico di cui la fiscalità
generale deve farsi carico
». “E io non pago
…!!!” conclude lo Stato: riferite
agli amici della Camera
Penale.
Rodolfo Capozzi
* Avvocato del Foro di Roma