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Riforme: Modifiche al codice di procedura civile
Posted by InGiustizia on Thursday, August 05 @ 17:23:27 CEST
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Nuovo onere per i legali

Il decreto-legge n. 193 del 2009, convertito nella legge n. 24 del 2010, ha introdotto alcune modifiche al codice di procedura civile, che stanno creando non poche difficoltà operative. La novella è entrata in vigore il 30 dicembre 2009, ma è rimasta finora sotto silenzio.
L’art. 163 recita testualmente: “L’atto di citazione deve contenere: … 2) il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell’attore; il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono.
Se l’attore o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio”.
Il successivo art. 167 dello stesso c.p.c., come modificato, stabilisce che il convenuto deve indicare, nella comparsa di risposta, le proprie generalità e il codice fiscale.
Dalla lettura del citato articolo 163, si evince che le persone fisiche (di cui si deve indicare il codice fiscale anche se convenute) risultano distinte dagli enti, per i quali non vi è l’obbligo del codice fiscale per le persone che le rappresentano, che sorge al momento della costituzione in giudizio.
In altri termini, per gli enti è obbligatorio inserire nell’atto di citazione soltanto la denominazione o la ditta e l’indicazione dell’organo ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio, confermando così la situazione precedente alla nuova normativa. Ne consegue che, dalla lettura del novellato art. 163, l’avvocato non sarebbe tenuto a inserire il codice fiscale della persona che rappresenta l’ente; onere, questo, obbligatorio per le persone fisiche. A riguardo, stante il rischio di nullità dell’atto di citazione, sembrerebbe comunque prudente indicare il codice fiscale dell’ente convenuto sia il nome della persona fisica che ne ha la rappresentanza legale, con il codice fiscale. La ratio della nuova legge n. 24 del 2010, sopra riportata – che stabilisce l’obbligatoria indicazione, negli atti processuali, del codice fiscale di tutti i partecipanti al giudizio – è quella di consentire la identificazione di quest’ultimi da parte del sistema informatico.
L’inciso indicato nel nuovo art. 163: “… delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono”, potrebbe riferirsi ai soggetti che hanno la rappresentanza sostanziale dell’attore nel caso in cui questi sia incapace totalmente o parzialmente; ne deriverebbe perciò che la mancata indicazione del codice fiscale degli avvocati non comporti la nullità dell’atto di citazione; del resto, lo stesso art. 163 parla dei difensori solo al numero 6, in cui prescrive che l’atto di citazione deve contenere anche “il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura qualora questa sia stata già rilasciata”.
Va precisato, inoltre, che l’art. 125, primo comma, del codice di procedura civile come modificato, prevede che sulla citazione, sul ricorso, sulla comparsa, sul controricorso, sul precetto deve essere indicato anche il codice fiscale del difensore. La norma non risulta particolarmente onerosa per un avvocato che inizi un qualsiasi procedimento giudiziario, relativamente all’indicazione del proprio codice fiscale sull’atto; di contro, non appare costituzionalmente legittima l’esclusione del diritto di difesa della parte a causa del mancato inserimento di un elemento utile e necessario al sistema informatico, ma non al processo.
Alla luce di quanto sopra, le modifiche al c.p.c. dovrebbero essere interpretate nel senso che la mancata indicazione del codice fiscale dell’avvocato non comporti la nullità della citazione; del resto, il citato art. 125, come novellato, impone l’obbligo ai legali di inserire il proprio codice fiscale negli atti da loro sottoscritti, ma il rispetto di tale norma non è prevista a pena di nullità.
A riguardo, una recente ordinanza del Tribunale di Varese, sezione I civile, ha stabilito che il citato nuovo articolo 163 c.p.c. vada interpretato nel senso che la mancanza del codice costituisce una irregolarità sanabile e non una nullità; dunque, il processo può andare avanti. Inoltre, l’omissione non comporta evasione d’imposta né sanzioni da parte dell’amministrazione finanziaria (art. 10 comma 3 L. 212/2000, statuto del contribuente). Infine, il Tribunale ha chiarito che il novellato art. 163, terzo comma n. 2 c.p.c., fa riferimento agli istituti della rappresentanza e dell’assistenza e cioè ai soggetti che agiscono come sostituti processuali o rappresentanti legali (ad es. i tutori), e non agli avvocati.

Gabriele Sabetta

 
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